giovedì 4 febbraio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 25° pagina.


Corse da suo padre e gli fece una supplica.

«Il povero Prukhu dovrà dormire tutta la notte sotto l’albero, papà? È completamente ubriaco e dorme profondamente. Anche se riuscisse a svegliarsi, non potrebbe camminare sulle sue proprie gambe. Non potresti accompagnarlo a casa nostra e farlo dormire da noi? Se la mamma trova da ridire, facciamolo dormire nel fienile!».

Anche Larsin aveva bevuto parecchio, ma era ancora quasi del tutto lucido. Resisteva bene agli alcoolici anche lui.

«È un Sileno, è abituato a dormire sotto le stelle nelle notti d’estate. Qui non corre pericoli. Se ne andranno via tutti solo al mattino».

«Ma sembrava stare tanto male. Delirava, aveva la bava alla bocca….».

«Sì, lo so bene. Sono andato a soccorrerlo, sembrava un epilettico. Ma ora sono sicuro stia bene. Ha solo bevuto troppo … Non devi lasciarti impressionare da quello che può aver urlato. Hai ascoltato quello che diceva, per caso?.».

Larsin conosceva troppo bene suo figlio per non aver già subodorato qualcosa.

«… non lo so cosa ha detto. Ha cominciato a parlare di antiche storie, dei Geni, delle Fate….».

«Ah, ecco! Mi pareva! Proprio non puoi fare a meno di queste storie, vero? Mi sembrava strano che fosse solo per buon cuore! Non lo sai cosa dice il proverbio? Chi perde la testa, perde anche il cuore! Tu hai perso la testa tra le nuvole, e se fai qualcosa di giusto, è solo per caso!»

«Ti prego, papà! Voglio solo sapere qual è la leggenda di cui parlava, voglio solo farmela raccontare quando sarà sveglio e sobrio. Ti prego!».

Larsin alzò gli occhi al cielo, e stava per dire qualcosa, ma intervenne il suo amico Arnith, che gli sedeva accanto sulla panchina di legno.

«Perché t’interessa tanto quello che ha da raccontarti Prukhu? Perché t’interessi tanto ai farfugliamenti di un ubriaco?».

Erkan esitò un attimo. La domanda l’aveva un po’ spiazzato, ma era così diretta che non poté fare a meno di dire la verità. Quando gli facevano una domanda in quel modo inquisitorio, non sapeva mentire, perché si sentiva colpevole.

«Ha parlato di un’Ottava Stirpe dalle Ali Nere….. qualcosa del genere…. di esseri spaventosi che compaiono di notte…. mi piacciono le storie così!»

Arnith sembrò pietrificato dalle parole del ragazzino. Ma solo per un attimo. La lingua gli cadde quasi fuori da sotto i baffoni neri e a Erkan stava quasi per scappare una risata, ma per fortuna non fece in tempo a farlo.

Arnith si rivolse direttamente a Larsin e gli disse seccamente:

«Dì a tuo figlio di lasciar perdere queste storie! E senza tanti ma! Se riprova a farti ancora certi discorsi, mollagli un ceffone! Ma di quelli tosti! Anzi, due o tre! Convinti, mi raccomando!»

Larsin lo guardò perplesso, poi si rivolse al figlio.

«Erkan, gira al largo. Non parlarmi più di Prukhu. Fra poco torniamo a casa e non ne parliamo più, va bene? Lascia stare Prukhu, ora e sempre!»

Erkan scappò via, infuriato e piangente. Andò a sedersi proprio sotto lo stesso albero presso cui dormiva il vecchio Sileno. E rimase là, imbronciato e arrabbiato con il mondo intero.

Mentre lo guardava allontanarsi, Larsin si rivolse all’amico, chiedendogli spiegazioni.

«Spiegami un po’: perché mio figlio non deve sapere niente delle favole narrate da un vecchio Sileno?».

«Beh, me l’hai detto tu stesso che non hai piacere che tuo figlio insegua tante favole. Non fai altro che raccontarmi che tuo figlio ha sempre la testa tra le nuvole, crede a tutto quello che gli viene raccontato, mentre invece tu non credi a questo, non credi a quello, non credi alle magie, agli spiriti….

Mi dici sempre che la gente crede a un sacco di scemenze anziché badare alle cose concrete, e che si vivrebbe meglio se non si seguissero tanti sogni e miti…. dovresti essere d’accordo con me, no?»

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