lunedì 12 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 273° pagina.


Il taglio che aveva in testa era molto brutto e profondo, e dovette darle dei punti. Ma Irauni sembrava essersi ripresa dallo spavento e dallo stato confusionale, e descrisse dettagliatamente che cosa aveva visto, per quanto incredibile fosse, e si sentisse addirittura ridicola nel raccontarlo. Il suo scetticismo era stato incrinato non tanto da ciò che aveva visto, ma dalla brocca che si era presa in testa.

«Era come se quella donna, vedendo me, avesse visto un abominio, un mostro. Eppure ai miei occhi era lei che appariva come qualcosa di spaventoso…. tutta verde. Io non pensavo che potessero esistere delle persone dalla pelle verde! Kernon diceva che quella era la porta al Regno delle Fate.

Voi che siete un uomo sapiente, avete mai sentito che le Fate siano in grado di materializzare porte e camere in mezzo a una casa? Mi hanno detto che voi avete avuto alcuni rapporti con le Fate, ma io ho sempre creduto che le loro magie fossero solo trucchi, inganni.

E il luogo che vedevo da quelle strane finestre…. non era un luogo di questo mondo. Ogni cosa appariva verde, immersa in questo strano crepuscolo. Cosa dovremo fare, adesso? Abbandonare la nostra casa?».

«Non lo so, matriarca Vipinas. Non ho risposte, al momento. Certamente, non credo che sia stata colpa delle Fate, ma se notate qualcos’altro di strano o inspiegabile, fatemi chiamare subito, ancor prima dei gendarmi. Forse potrò darvi delle risposte in futuro. Magari con l’aiuto di un esperto mastro alchimista».

Prima di andarsene, Velthur volle parlare con Kernon, il quale continuava a sostenere che bisognava murare il corridoio in cui era comparsa la porta sul regno del verde crepuscolo.

«La porta ricomparirà, prima o poi. È una Porta delle Fate, conduce nel loro regno. Il loro paese può essere dappertutto e in nessun luogo, perché non è un regno di questo mondo. E chi vi entra anche una sola volta, smarrisce la ragione, e la sua vita diventa una lunga malattia senza speranza, carica solo di incubi e follia».

«Cosa ti fa credere che quello che hai visto fosse un incantesimo delle Fate? Io non ho mai sentito parlare di porte che compaiono misteriosamente nelle case degli Uomini. Io ho visto un Regno delle Fate a pochi chilometri da qui. Lo sai che sulle Colline di Leukun esiste una comunità di Fate? Certo,  loro possono creare delle illusioni agli occhi degli Uomini, rendendo invisibili le loro case e i loro averi e le loro stesse persone, ma scherzi così crudeli non li fanno. E il loro regno appartiene a questo mondo, non ad un altro.

Se andrai a raccontare in giro che sono state le Fate a ferire in fronte la tua signora e padrona, le metterai nei guai. Già i kametheina non le vedono di buon occhio. Se si diffonde la voce che aggrediscono  le matriarche degli athumna….».

«No, no, io non sto parlando delle Fate del vostro paese, so bene che sono esseri pacifici e che non fanno scherzi così malevoli. Sto parlando delle Fate del mio, di paese! Quelle sono ben diverse dalle vostre! Il popolo fatato, dalle nostre parti lassù al Nord, è oscuro e feroce!»

Il pregiudizio che quasi tutti i Thyrsenna inevitabilmente avevano nei confronti dei popoli nordici, un pregiudizio da cui non si salvavano neanche i più colti e intelligenti, da un lato spingeva Velthur a non dare retta alle loro credenze popolari, ma dall’altra – grazie all’esercizio del dubbio critico - lo invitava ad ascoltare quell’uomo rozzo dai lunghi capelli rossi, che parlava con uno strano accento. In fin dei conti, alla fine quello che aveva avuto ragione era lui: quella porta non la si doveva varcare, e la matriarca aveva pagato caro il non aver voluto dare retta al suo ignorante e rozzo schiavo.

«Sentiamo: cos’hanno di diverso le vostre Fate dalle nostre? Perché le Fate nordiche sarebbero più cattive? E per caso, hanno la pelle verde anziché bianca come quelle del Veltyan? E poi, perché sarebbero arrivate fino a qui, anziché restarsene nel vostro paese?».

«Beh, sì, alcune nostre tradizioni parlano di Fate dalla pelle verde. Per esempio, c’è la storia dei due bambini usciti dal pozzo….».

Nascosto tra le pieghe della memoria, qualcosa di familiare si agitò nella mente di Velthur. Aveva come l’impressione di aver già sentito parlare di quella storia.

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