sabato 31 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 291° pagina.


«L’attacco al Santuario sarebbe stato il primo atto dimostrativo di una setta che vuole liberare il vostro regno dall’attuale classe sacerdotale. Le Tre Madri del Fato ti aspettavano solo per parlarti di questo».

«E perché non mi hanno chiamato prima?».

«Perché sapevano che saresti venuto di tua sponte, naturalmente! Ma dovevi venire quando tu fossi stato convinto che era il momento di farlo. Tu non sei una persona facile da convincere, ti fidi solo di ciò che qualcuno ti ha dimostrato come vero. Sapevano che stava per succedere qualcosa di grave nel tuo paese, ma non sapevano cosa. Sempre per quel discorso che noi non possiamo vedere le cose che vengono dall’Altrove. E quindi loro volevano sentire dalla tua bocca cosa fosse successo».

«Non riuscirò mai a capirvi veramente….».

«Non importa. Non è noi che devi capire, ma cosa sta succedendo. Noi non possiamo farlo, ricordatelo sempre».

«E come faccio a dimenticarlo? Mi sento maledettamente solo…..».

«Gli Uomini sono sempre soli, chiusi nelle stanze sbarrate delle loro menti…. è la vostra condizione naturale. Eppure non ne siete mai contenti».

Poco dopo giunsero Prukhu e Menkhu, che portavano in mano, avvolte nei loro mantelli, le sette spade prese agli aggressori. Ridevano di gusto.

Ma le loro risate morirono loro sulle labbra, prima quando videro il morto a terra trafitto dalla spada, e poi quando guardarono di fronte a sé, nel bosco, nella stessa direzione in cui aveva guardato l’aggressore di Velthur prima di suicidarsi.

Con quell’ultimo gesto, il riso che si era mutato in sconcerto, si mutò in terrore. Prukhu lasciò andare a terra le spade che teneva in mano, Menkhu fu come percorso da un brivido e si strinse tutto in se stesso, come a voler diventare più piccolo.

Velthur si voltò di scatto a guardare nella loro stessa direzione, ma non vide assolutamente niente, solo il bosco che si perdeva nel fondovalle, dove si sentiva il rumore lontano di un torrente.

«Figlio, vedi anche tu quello che vedo io?».

«Eccome, se lo vedo! Andiamocene via subito, padre!».

«Un momento, cos’è che vedete? Noi non vediamo nulla! Tu, Azyel, vedi qualcosa laggiù?».

«No, non vedo niente neanche io, ma non ho la vista di un Sileno, come non ce l’hai tu. Tu sai, vero, cosa possono vedere, no? L’hai scoperto quella mattina d’inverno di sette anni fa sulla barca lungo il fiume…. ricordi?».

Improvvisamente Velthur si ricordò di quell’episodio che aveva dimenticato in mezzo ai tanti ricordi dolorosi e tremendi di quel periodo. O meglio, aveva dimenticato cosa aveva significato per lui. La scoperta di una parte della vita dei Sileni che non aveva mai conosciuto prima.

La capacità di vedere l’Invisibile.

Si voltò di nuovo verso i due amici, che continuavano a fissare apparentemente il nulla, quasi ipnotizzati da una misteriosa visione.

«Cosa state vedendo, allora? Uno spirito? Un’altra delle misteriose figure luminose ed evanescenti che vedete fra le ombre?».

«No, Velthur, no…. » balbettò Prukhu «Magari vedessimo solo quelle. Vediamo ben altro…. Ma non te lo possiamo dire! Possiamo solo dirti che ce ne dobbiamo andare tutti quanti! Subito!».

«E lasciare quest’uomo qui? Non possiamo! O mi dite che cosa state vedendo, o io non mi muovo!».

Anche Azyel sembrava spaventarsi sempre più.

«Non possono dirtelo perché riguarda i misteri del belk, Velthur! Riguarda i segreti dell’Altrove, e loro sarebbero capaci di farsi uccidere, pur di non rivelarli! Fa come ti dicono, e lascia questo posto anche tu. Torniamo alla strada!».

Velthur emise un grugnito di rabbia, poi si chinò sul morto, lo voltò su di un fianco e gli estrasse la lama dal cuore.

«Anche se ha cercato di uccidermi, non è giusto lasciare il suo corpo ai lupi, ai corvi e agli avvoltoi. Sarà meglio che mi diate prima o poi delle buone ragioni per fare quello che stiamo facendo!

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