giovedì 15 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 275° pagina.


ancora giovani e del tutto ignare del tempo trascorso, come se fossero passati pochi istanti dalla loro scomparsa, e da altre porte ancora sono comparsi esseri spaventosi, a volte solo strani, e altre ancora strani personaggi come i due bambini verdi.

A volte sono comparsi anch’essi da pozzi, altri da antri e caverne profonde, altri improvvisamente comparsi dal nulla nel fitto di foreste buie, altri ancora, come è successo in questa casa, da porte comparse improvvisamente dal nulla su pareti di castelli e fortezze, o addirittura in povere capanne. 

La matriarca Irauni se l’è cavata bene, perché avrebbe potuto rimanere per sempre imprigionata nella Terra di Mirtin. Cosa sarebbe successo se la porta fosse scomparsa mentre lei si trovava dall’altra parte? E cosa succederebbe, se quella porta dovesse ricomparire e lasciar passare non un bambino, ma un essere mostruoso evocato dalle Fate?»

«Ma perché dovrebbe succedere tutto questo? Cioè, perché succede? Le leggende del tuo popolo spiegano anche questo?».

«Scusate, signor medico….. non capisco la domanda….».

«Mi spiego meglio: perché le Fate vorrebbero creare queste porte che fanno passare la gente e altre strane creature da un reame all’altro, da un luogo all’altro, da un mondo all’altro?».

«Non si sa…. Ma alcuni dicono che ubbidiscono a forze maligne, a Dei oscuri e violenti che vogliono stravolgere l’ordine del mondo. Per questo i nostri sacerdoti, i Lukwydaris, ogni volta che scoprono una Porta delle Fate, compiono dei riti di esorcismo contro di essa, per chiuderla definitivamente invocando il soccorso di Lukur, il nostro Dio supremo.

In genere ci riescono. Purtroppo qui non c’è un solo Lukwydar che possa officiare il rito…. io sono solo un contadino, come lo è Nemirarn, l’altra schiava. E non conosco nessun Gael da queste parti».

«Nemmeno io. Tu sei il primo Gael che conosco in vita mia! E non so molto, sul conto dei Gaelna... Senti, Kernon. Voglio poter parlare ancora con te. Mi devi raccontare qualcosa del tuo popolo e delle sue tradizioni. Ma non dire a nessuno, almeno per il momento, che m’interesso a quello che mi racconterai. È un segreto fra noi due. Inventerò la scusa che vengo qui per tenere d’occhio la matriarca, che è una cosa che in ogni caso penso che dovrò fare. È anziana e il colpo che si è presa in testa è proprio brutto».

«A volte la mia signora mi permette di andare al villaggio a bere qualcosa all’osteria.Magari possiamo vederci a casa sua, se non ha nulla in contrario».

«Ah, è generosa la tua signora! Bene, mi piacerebbe bere qualcosa in tua compagnia e farci una chiacchierata ogni tanto. Un’ultima cosa, Kernon. Tu mi hai detto che dentro le Porte delle Fate a volte sono scomparse delle persone che non sono più tornate. Per caso, nelle vostre leggende, capita mai che scompaia non una singola persona, e neanche un gruppo, ma addirittura un’intera comunità… che so, un intero villaggio, o persino la popolazione di un’intera valle?».

«Che io sappia…. no. Cioè, non lo so…. , però una volta, ho sentito una storia, da bambino, credo che me l’abbia raccontata mio nonno, che era un cantore…. Una leggenda di una valle dove c’era una profonda caverna, e un lago, sul cui fondo aveva il suo tempio un Dio degli Inferi, che compariva di notte sotto forma di cervo bianco dalle corna di fiamma. Gli abitanti della valle offesero mortalmente il Dio, che si vendicò portando con sé tutto il popolo della valle attraverso una Porta delle Fate che si trovava nel suo tempio sotto le acque del lago…

È strano, mi ero dimenticato di questa leggenda, ma ora che mi avete fatto quella strana domanda, improvvisamente me ne sono ricordato….».

Velthur rimase a fissare il vuoto per qualche istante, meditando su quello che gli aveva raccontato lo schiavo barbarico.

Sembrava dunque che la vicenda della Valle dei Gigli fosse giunta nel lontano Nord, deformata e ingigantita dal mito. E chissà, forse i sacerdoti e i cantori dei Gaelna sapevano di quella vicenda qualcosa che nemmeno i più sapienti fra i Thyrsenna potevano apprendere.

«Dimmi, la tua signora conosceva la leggenda dei due bambini verdi?».
«No, non gliene ho mai parlato. Lei non voleva saperne niente del nostro paese, e se osavo parlarne minacciava ogni volta di bastonarmi! Una volta l’ha anche fatto, quando ha scoperto che raccontavo le leggende del mio popolo ai suoi nipoti

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