Per fargli capire meglio la volontà popolare, gli
imbrattarono la porta di casa con sangue di bue, e con quello stesso sangue
scrissero frasi ingiuriose sulla sua facciata.
Pochi giorni dopo il sacerdote ricevette la lettera di
destituzione e l’ordine di trasferirsi nell’Ibor Eydinal, la Valle dell’Eydin,
in uno sperduto villaggio di montagna. Si faceva sempre così, con i sacerdoti
scomodi, quando non si voleva arrivare all’estremo di sconsacrarli, un’infamia
che nel Veltyan significava la rovina totale per un kamethei, a qualunque grado della gerarchia appartenesse.
Fu sostituito dal nipote, che a dire il vero non era granché
meglio dello zio in quanto ad avidità e corruzione. Ma non successero altri fatti
gravi o strani legati all’edicola di Sethlan per molto tempo, e quindi il nuovo
sacerdote non fece la stessa fine dello zio.
Loraisan, dal canto suo, rimase sconvolto da quello che era
successo. Ma non rivelò a nessuno la fonte dei suoi terrori.
Quando si fu sparsa la voce in paese del misterioso mostro
dal braccio nero con l’occhio nel palmo, e vide lui stesso la distruzione
dell’edicola di Sethlan, si convinse che fosse stato lui a evocare
quell’essere.
Giurò a se stesso che non avrebbe più cercato di usare il farthankar, in alcun modo. Si convinse
definitivamente che lui era diverso dagli altri, che qualcosa in lui funzionava
in modo diverso dagli altri Uomini, e che ci fosse un lato mostruoso nel suo
essere.
Cominciò ad instillarsi in lui la convinzione che fosse un
portatore di sventura.
Il suo carattere peggiorò. Le sue fobie divennero ancora più
ossessive, e cominciarono a diventare un grosso problema anche per la sua
famiglia. Certe volte, la sera, si ritirava in un angolo della cucina, e rimaneva
immobile per ore intere, in preda al terrore. Nemmeno la presenza dei familiari
lo confortava. Era convinto che niente e nessuno potesse difenderlo
dall’involontaria evocazione di misteriose forze oscure.
Ma ogni volta che gli si chiedeva di cosa avesse così paura
e perché, non rispondeva mai.
Quando sua madre lo portava al Santuario d’Ambra, il momento
più difficile era quando dovevano passare di fronte alla nicchia laterale in
cui si trovava l’immagine di Bekigor. Loraisan faceva una corsa tenendosi le
mani sugli occhi per non vedere in alcun modo, neanche con la coda dell’occhio,
l’immagine del mostro che, lui ne era convinto, aveva evocato dalle profondità
dell’Orkhun, dai piedi stessi del trono di Surmanth, Signore degli Spiriti
Defunti.
E quando doveva passare per la strada lastricata per andare
al paese, pur di non passare di fronte all’edicola di Sethlan, faceva un giro
largo nel bosco retrostante.
Si era convinto di essere una specie di stregone, e che
questo fatto l’avrebbe inseguito per tutta la vita, portando sventura attorno a
sé. Per un lungo periodo soffrì di insonnia, passando ore intere a fissare il
vuoto in attesa della spaventosa apparizione dell’occhio rosso. Ma non vide mai
niente, nessuna apparizione sorse dal buio della notte, né oltre il buio della
finestra, né in alcun altro luogo, né di giorno né di notte.
Non vide mai niente, né udì alcun suono terrificante, né
voci proveniente dall’oltretomba, né alcun urlo di morte o di terrore.
Mentre tante persone nel paese e nelle campagne attorno, nel
corso di molti anni videro e sentirono cose spaventose sia di giorno che di
notte, e tutte le persone che conosceva, prima o poi, dichiararono di essere
state testimoni di qualcosa di strano e
misterioso. Lui, che viveva nel terrore di avere le loro stesse esperienze, non
vide e non udì mai niente. Mai.
CAP. XXIV: GLI OTTO PELLEGRINI
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