martedì 27 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 287° pagina.


Per fargli capire meglio la volontà popolare, gli imbrattarono la porta di casa con sangue di bue, e con quello stesso sangue scrissero frasi ingiuriose sulla sua facciata.

Pochi giorni dopo il sacerdote ricevette la lettera di destituzione e l’ordine di trasferirsi nell’Ibor Eydinal, la Valle dell’Eydin, in uno sperduto villaggio di montagna. Si faceva sempre così, con i sacerdoti scomodi, quando non si voleva arrivare all’estremo di sconsacrarli, un’infamia che nel Veltyan significava la rovina totale per un kamethei, a qualunque grado della gerarchia appartenesse.

Fu sostituito dal nipote, che a dire il vero non era granché meglio dello zio in quanto ad avidità e corruzione. Ma non successero altri fatti gravi o strani legati all’edicola di Sethlan per molto tempo, e quindi il nuovo sacerdote non fece la stessa fine dello zio.

Loraisan, dal canto suo, rimase sconvolto da quello che era successo. Ma non rivelò a nessuno la fonte dei suoi terrori.

Quando si fu sparsa la voce in paese del misterioso mostro dal braccio nero con l’occhio nel palmo, e vide lui stesso la distruzione dell’edicola di Sethlan, si convinse che fosse stato lui a evocare quell’essere.

Giurò a se stesso che non avrebbe più cercato di usare il farthankar, in alcun modo. Si convinse definitivamente che lui era diverso dagli altri, che qualcosa in lui funzionava in modo diverso dagli altri Uomini, e che ci fosse un lato mostruoso nel suo essere.

Cominciò ad instillarsi in lui la convinzione che fosse un portatore di sventura.

Il suo carattere peggiorò. Le sue fobie divennero ancora più ossessive, e cominciarono a diventare un grosso problema anche per la sua famiglia. Certe volte, la sera, si ritirava in un angolo della cucina, e rimaneva immobile per ore intere, in preda al terrore. Nemmeno la presenza dei familiari lo confortava. Era convinto che niente e nessuno potesse difenderlo dall’involontaria evocazione di misteriose forze oscure.

Ma ogni volta che gli si chiedeva di cosa avesse così paura e perché, non rispondeva mai.

Quando sua madre lo portava al Santuario d’Ambra, il momento più difficile era quando dovevano passare di fronte alla nicchia laterale in cui si trovava l’immagine di Bekigor. Loraisan faceva una corsa tenendosi le mani sugli occhi per non vedere in alcun modo, neanche con la coda dell’occhio, l’immagine del mostro che, lui ne era convinto, aveva evocato dalle profondità dell’Orkhun, dai piedi stessi del trono di Surmanth, Signore degli Spiriti Defunti.

E quando doveva passare per la strada lastricata per andare al paese, pur di non passare di fronte all’edicola di Sethlan, faceva un giro largo nel bosco retrostante.

Si era convinto di essere una specie di stregone, e che questo fatto l’avrebbe inseguito per tutta la vita, portando sventura attorno a sé. Per un lungo periodo soffrì di insonnia, passando ore intere a fissare il vuoto in attesa della spaventosa apparizione dell’occhio rosso. Ma non vide mai niente, nessuna apparizione sorse dal buio della notte, né oltre il buio della finestra, né in alcun altro luogo, né di giorno né di notte.

Non vide mai niente, né udì alcun suono terrificante, né voci proveniente dall’oltretomba, né alcun urlo di morte o di terrore.

Mentre tante persone nel paese e nelle campagne attorno, nel corso di molti anni videro e sentirono cose spaventose sia di giorno che di notte, e tutte le persone che conosceva, prima o poi, dichiararono di essere state testimoni di qualcosa di  strano e misterioso. Lui, che viveva nel terrore di avere le loro stesse esperienze, non vide e non udì mai niente. Mai.







CAP. XXIV: GLI OTTO PELLEGRINI


 Velthur, come Loraisan, viveva di paura anche lui, ma in modo del tutto diverso, ovviamente. Il bambino non poteva rendersi pienamente conto di ciò di cui aveva paura, il medico invece ne

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