capiva anche troppo. Alla lista di persone sconvolte da
spaventose visioni, si era aggiunta una che era stata anche ferita, e alla fine
anche un morto suicida.
Non aveva dubbi che il giovane pellegrino misterioso si
fosse tolto la vita spinto anche lui da qualche orrenda visione che gli aveva
fatto perdere il senno, o magari per qualcosa di ancora più diabolico, che non
poteva comprendere.
Se tutto stava ricominciando sette anni dopo la morte di
Aralar Alpan, l’eremita pazzo, allora lo stava facendo in modo molto peggiore
di prima. E questa volta bisognava cercare subito l’origine di quella follia,
ed estirparla prima possibile.
Dopo il misterioso suicidio del giovane sconosciuto, si
decise ad andare di nuovo alle Colline di Leukun per parlare di nuovo con la
Triplice Regina delle Fate.
Vi si recò in compagnia di Menkhu e Prukhu, sperando che
Azyel se ne stesse fuori dai piedi.
Speranza vana, perché mentre i tre salivano per la strada
che andava per le vallette tra le colline fra Aminthaisan e Tulvanth, Azyel si
presentò con il suo solito fare vagamente canzonatorio.
«Oh, finalmente, vi siete decisi a venire! Ero sul punto di
venire a darvi un esplicito ordine delle Tre Madri, se non vi avessimo visto
ancora! Voi due Sileni, siete stati troppo in compagnia degli Uomini, non siete
più capaci di sentire quando è il momento di riunirsi al vostro regno natìo».
Prukhu lo apostrofò malamente.
«I rimproveri noi Sileni li accettiamo solo dalle Tre Madri!
Se hai qualcosa da dirci diccelo subito, o sparisci altrettanto rapidamente,
altrimenti i tuoi trucchi non ti salveranno dalla forza delle mie braccia e di
quelle di mio figlio!».
Velthur rise di soddisfazione.
«Ah, dunque non dà fastidio solo a me, questo Gnomo
malefico! Sentiamo dunque se ha qualcosa da dire. Forse un messaggio da parte
della tua Triplice Regina?».
«Macché! Io seguo solo i loro ordini. Mi hanno detto di
accompagnarvi sani e salvi fino alla Reggia di Pietra».
«Sani e salvi?
Perché? C’è qualche pericolo in vista?».
«Su queste strade non si sa mai cosa possa capitare…. si possono fare brutti incontri».
«Menzogne!» sbottò Menkhu «Se saltasse fuori un orso, lo
abbatterei con un cazzotto o due. Se saltassero fuori dei lupi, scaglierei il
capobranco contro un albero spezzandogli la schiena, e se saltassero fuori dei
briganti, non credo che potrebbero fare di più. Non ci sono grosse bande di
briganti da queste parti. Le abbiamo eliminate proprio noi Sileni molto tempo
fa! Questa zona è sicura per noi e per tutti quelli che ci accompagnano. Demoni
dell’Orkhun! Io e mio padre siamo nati e cresciuti in questi paraggi! Che idiozie
dici, Azyel? Hai bevuto troppo sidro di frutti di bosco?».
«Staremo a vedere, amici miei….».
Azyel incrociò le mani sul petto, nel gesto tipico del
popolo fatato quando compiva la levitazione, e si sollevò lentamente dal suolo,
verso gli alberi digradanti nella valletta a destra della strada. La sua sagoma
si confuse e mimetizzò rapidamente con la vegetazione, ma ogni tanto si vedeva
il suo volto che pareva una maschera fatta di corteccia e foglie, occhieggiare
sorridendo sardonicamente fra i rami, per poi riscomparire nel verde.
Non passò molto, che si trovarono di fronte a quello che era
evidentemente un gruppo di pellegrini. Cinque uomini e tre donne, con le
tuniche giallo-arancio, colore simbolo del sole e del giorno, e le croci ansate
di rame al collo, camminavano e cantavano le lodi di Sil, invocando la Sua
illuminazione. Se venivano giù da quella strada, significava che provenivano
dalle Montagne della Luna, da qualche valle isolata presso la Valle dell’Eydin.
Alcuni avevano l’aspetto di contadini o comunque di plebei,
ma altri, dall’aspetto troppo curato, parevano patrizi o comunque benestanti.
Non rimasero sorpresi di vedere due Sileni vestiti da
pastori, perché se venivano dalle montagne, dovevano essere abituati a vederli
spesso, i Sileni.
Fu quando Velthur si trovò a passargli accanto, che uno di
loro rimase colpito da quello che il medico portava al collo.
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