mercoledì 28 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 288° pagina.


capiva anche troppo. Alla lista di persone sconvolte da spaventose visioni, si era aggiunta una che era stata anche ferita, e alla fine anche un morto suicida.

Non aveva dubbi che il giovane pellegrino misterioso si fosse tolto la vita spinto anche lui da qualche orrenda visione che gli aveva fatto perdere il senno, o magari per qualcosa di ancora più diabolico, che non poteva comprendere.

Se tutto stava ricominciando sette anni dopo la morte di Aralar Alpan, l’eremita pazzo, allora lo stava facendo in modo molto peggiore di prima. E questa volta bisognava cercare subito l’origine di quella follia, ed estirparla prima possibile.

Dopo il misterioso suicidio del giovane sconosciuto, si decise ad andare di nuovo alle Colline di Leukun per parlare di nuovo con la Triplice Regina delle Fate.

Vi si recò in compagnia di Menkhu e Prukhu, sperando che Azyel se ne stesse fuori dai piedi.

Speranza vana, perché mentre i tre salivano per la strada che andava per le vallette tra le colline fra Aminthaisan e Tulvanth, Azyel si presentò con il suo solito fare vagamente canzonatorio.

«Oh, finalmente, vi siete decisi a venire! Ero sul punto di venire a darvi un esplicito ordine delle Tre Madri, se non vi avessimo visto ancora! Voi due Sileni, siete stati troppo in compagnia degli Uomini, non siete più capaci di sentire quando è il momento di riunirsi al vostro regno natìo».

Prukhu lo apostrofò malamente.

«I rimproveri noi Sileni li accettiamo solo dalle Tre Madri! Se hai qualcosa da dirci diccelo subito, o sparisci altrettanto rapidamente, altrimenti i tuoi trucchi non ti salveranno dalla forza delle mie braccia e di quelle di mio figlio!».

Velthur rise di soddisfazione.

«Ah, dunque non dà fastidio solo a me, questo Gnomo malefico! Sentiamo dunque se ha qualcosa da dire. Forse un messaggio da parte della tua Triplice Regina?».

«Macché! Io seguo solo i loro ordini. Mi hanno detto di accompagnarvi sani e salvi fino alla Reggia di Pietra».

«Sani  e salvi? Perché? C’è qualche pericolo in vista?».

«Su queste strade non si sa mai cosa possa capitare….  si possono fare brutti incontri».

«Menzogne!» sbottò Menkhu «Se saltasse fuori un orso, lo abbatterei con un cazzotto o due. Se saltassero fuori dei lupi, scaglierei il capobranco contro un albero spezzandogli la schiena, e se saltassero fuori dei briganti, non credo che potrebbero fare di più. Non ci sono grosse bande di briganti da queste parti. Le abbiamo eliminate proprio noi Sileni molto tempo fa! Questa zona è sicura per noi e per tutti quelli che ci accompagnano. Demoni dell’Orkhun! Io e mio padre siamo nati e cresciuti in questi paraggi! Che idiozie dici, Azyel? Hai bevuto troppo sidro di frutti di bosco?».

«Staremo a vedere, amici miei….».

Azyel incrociò le mani sul petto, nel gesto tipico del popolo fatato quando compiva la levitazione, e si sollevò lentamente dal suolo, verso gli alberi digradanti nella valletta a destra della strada. La sua sagoma si confuse e mimetizzò rapidamente con la vegetazione, ma ogni tanto si vedeva il suo volto che pareva una maschera fatta di corteccia e foglie, occhieggiare sorridendo sardonicamente fra i rami, per poi riscomparire nel verde.

Non passò molto, che si trovarono di fronte a quello che era evidentemente un gruppo di pellegrini. Cinque uomini e tre donne, con le tuniche giallo-arancio, colore simbolo del sole e del giorno, e le croci ansate di rame al collo, camminavano e cantavano le lodi di Sil, invocando la Sua illuminazione. Se venivano giù da quella strada, significava che provenivano dalle Montagne della Luna, da qualche valle isolata presso la Valle dell’Eydin.

Alcuni avevano l’aspetto di contadini o comunque di plebei, ma altri, dall’aspetto troppo curato, parevano patrizi o comunque benestanti.

Non rimasero sorpresi di vedere due Sileni vestiti da pastori, perché se venivano dalle montagne, dovevano essere abituati a vederli spesso, i Sileni.

Fu quando Velthur si trovò a passargli accanto, che uno di loro rimase colpito da quello che il medico portava al collo.

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