Quel giorno, non si era portato dietro il suo inseparabile
ciondolo a tetraedro, perché aveva pensato che fosse offensivo portarlo al
collo in presenza della Triplice Regina delle Fate.
Ma siccome senza di esso ormai si sentiva nudo, per
l’esigenza di sentire qualcosa al collo si era messo invece una sua catenina
con un ciondolo d’oro rosso di significato religioso: la triplice svastica a
spirale, simbolo dell’Aventry.
Appena il pellegrino l’ebbe notata, lanciò un urlo rauco e
isterico, puntando il dito accusatore contro il medico.
«Abominio! Un malvagio Avennar miscredente e nemico degli
Dei si trova sulla nostra strada di pellegrini! Purifichiamo il male, o sorelle
e fratelli!».
A quel punto successe qualcosa di veramente sorprendente.
Tutti gli otto pellegrini, uomini e donne, estrassero delle corte spade di
acciaio adamantino dalle loro bisacce, e si avventarono verso Velthur.
Menkhu e Prukhu furono lesti nel reagire menando grandi
bastonate con tutte le loro forze, fino a quando le potenti lame di metallo
alchemico tagliarono a fette i loro
stessi bastoni.
Velthur disse loro di scappare. Le sottili lame di
trasparente acciaio adamantino potevano tagliare in due anche una roccia. Era
il loro straordinario potere che difendeva il regno del Veltyan da ogni
invasione ormai da diversi secoli.
Ma cosa ci facessero in mano a un gruppo di apparentemente
pacifici pellegrini, non si sapeva.
Certo, qualche arma se la portavano sempre dietro, ma
vederli armati quasi come soldati sul piede di guerra non era previsto.
Così i tre amici si
trovarono inseguiti da una banda di furie fanatiche invasate dall’odio
religioso.
Scapparono prima lungo la strada lastricata verso Tulvanth,
poi Prukhu urlò: «Disperdiamoci nel bosco! Tu Velthur, corri giù nel bosco
verso il fondo valle! Ci pensiamo noi due a questi qui!».
Cosa volessero fare esattamente Prukhu e suo figlio, Velthur
non lo sapeva, ma poteva immaginarlo.
Se ci fosse stato solo Menkhu assieme a lui, questi avrebbe
potuto caricarsi il medico sulle spalle e correre come il vento, seminando
quegli scalmanati, ma evidentemente i due Sileni non volevano semplicemente
seminarli, ma combatterli e vincerli.
Nel bosco, gli Uomini non potevano battersi facilmente con i
Sileni, nemmeno se armati fino ai denti. Il bosco era il loro elemento
naturale, e là la loro potenza e astuzia era al massimo. Non per niente l’altro
nome dei Sileni era Silvani, la Gente del Bosco.
Prukhu non era per niente rallentato dall’età, perché la
vecchiaia pesa sui Sileni molto meno che sugli Uomini, e assieme a suo figlio
avrebbe potuto confondere e disorientare gli aggressori, cogliendoli alle
spalle uno ad uno, per disarmarli e, se necessario, ucciderli spezzando loro il
collo con la sola stretta delle fortissime mani.
Ma se nei primi istanti Velthur era convinto che i due
Sileni sapessero il fatto suo, poco dopo cominciò a dubitarne.
Perché gli otto pellegrini fanatici si erano messi ad inseguire
soprattutto lui nel bosco, e non i Sileni, dato che era lui l’Avennar, il
malvagio miscredente da eliminare a tutti i costi. E tra l’altro, anche il più
debole ed indifeso.
Tra l’altro, i boschi di quella valle erano aperti e
luminosi, dagli alberi grandi e distanziati, che lasciavano passare la luce del
sole; boschi di querce, betulle e ippocastani che permettevano senz’altro a
Velthur di correre a perdifiato verso il fondovalle, ma anche ai suoi
inseguitori di vederlo da lontano. Non vedeva un posto dove nascondersi.
Solo dopo si accorse di aver sottovalutato i suoi amici,
perché sentì le urla degli inseguitori trasformarsi in breve tempo da urla di
rabbia e folle odio in grida di dolore e paura. Uno per uno, venivano raggiunti
dagli invisibili Sileni e abbattuti a suon di pugni in testa o sonore bastonate
con rami raccolti dal terreno, uomini e donne.
L’ultimo inseguitore, un uomo alto e magro, con una faccia patibolare
segnata da una cicatrice, stava per raggiungere Velthur, alzando la sua spada cristallina
e lanciando un urlo di battaglia come un guerriero che sta per affrontare il
nemico. E avrebbe potuto raggiungere il medico, se non si
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