mercoledì 7 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 267° pagina.


Eppure l’eredità dei Gaelna si faceva sentire in loro aldilà dell’alta statura e dei capelli rossi, perché superstizioni e leggende del loro popolo influenzavano ancora le loro credenze e i loro costumi. E proprio per questo i due giovanissimi nipoti gradivano la loro compagnia, che tra l’altro era l’unica che avessero oltre a quelle della nonna e della prozia, troppo anziane per la loro giovane età.

Cresciuti nell’isolamento di una nobiltà decadente, che non poteva approfittare della compagnia dei loro coetanei liberamente, ma nello stesso tempo non poteva neanche far pienamente parte dell’alta società, i due ragazzi, fratello e sorella, avevano finito con il nutrirsi dei sogni di miti e leggende crepuscolari, straniere, provenienti da un mondo oscuro, sconosciuto e selvaggio, dove il clima più freddo e meno soleggiato generava un umore altrettanto freddo e oscuro.

Le leggende dei Gaelna pullulavano di mostri spaventosi ed antropofagi nascosti nel profondo delle caverne, spesso custodi di tesori immensi. Esse narravano del regno crepuscolare delle Fate nordiche, assai più malevole delle Fate del Veltyan, di oscure forze demoniache che apparivano di notte nelle foreste, portando chiunque venisse a contatto con loro alla follia e alla morte, di Dei oscuri e feroci, che pretendevano sacrifici umani, di spaventose crudeltà perpetrate da ferocissimi guerrieri, e di spiriti assetati di vendetta per aver subìto estreme ingiustizie e infami tradimenti in vita.

E l’ambiente fatiscente e decaduto della villa aveva contribuito a fomentare le fantasie di Veli e Thefren su spiriti e demoni mostruosi.

Veli, la sorella, aveva tredici anni, mentre Thefren, il fratello, ne aveva solo undici.

In particolar modo era la fantasia di Thefren a galoppare con più facilità. Il ragazzo era l’unico maschio rimasto in famiglia, circondato ed eccessivamente protetto da donne e in particolar modo da una nonna matriarca che aveva creato attorno a lui come una sorta di ansiosa corazza contro il mondo esterno, per la paura di vederlo andare via anche lui un giorno verso la città. Questo aveva fatto in modo di estraniarlo in certo modo dal mondo reale. 

Thefren era particolarmente affascinato dai racconti di Kernon, lo schiavo nordico, che gli narrava le imprese eroiche di guerrieri alle prese con mostri spaventosi e sinistri incantesimi.

Ne era affascinato e allo stesso tempo spaventato. Da un lato sognava di poter viaggiare nel lontano Nord, di combattere fra le orde selvagge dei fulvi barbari oltre le montagne, lontano dalla vita noiosa di quel paesino dimenticato da tutti. Dall’altro lato, sotto la suggestione dei tenebrosi racconti di Kernon, guardava alle pareti scrostrate della sua villa, ai suoi corridoi bui e alle scale scricchiolanti come a un regno di presenze misteriose venute da lontano, o da un passato troppo remoto e misterioso.

C’erano alcune aree della villa, alcune stanze che, rimaste sfitte da tanti anni, erano diventate anfratti abbandonati ed oscuri, dove non si recava più nessuno, neanche a pulire la polvere, e da dove persino le lampade perenni erano state rimosse, così che durante la notte i corridoi di quelle stanze erano come pozzi oscuri che spaventavano Thefren e sua sorella Veli.

E c’era una leggenda dei Gaelna che aveva impressionato la fantasia di Thefren più di tutte le altre: quella del pozzo delle Fate, posto nel bosco attorno a un mitico castello di cristallo, che era l’entrata al regno segreto delle Fate.

Secondo la leggenda, dentro quel pozzo si apriva una grande galleria, sui cui fianchi c’era una porta invisibile, che solo in certi momenti diventava visibile, e che conduceva in un regno immerso in un eterno crepuscolo, dove appunto vivevano gli Elfi del Crepuscolo, cioè il popolo delle Fate. Un luogo incantato e misterioso dove il tempo scorreva lentissimo, e chi lo visitava anche per pochi giorni, tornava nel mondo degli Uomini per scoprire che vi erano passati dei secoli, e che tutti coloro che aveva conosciuto e amato erano polvere da tempo immemorabile.

Thefren immaginava che quella porta invisibile esistesse davvero, anzi che potesse essercene più di una. E che, siccome di Fate ce n’erano anche sui monti e sulle colline vicine ad Arethyan, allora anche da quelle parti potesse esserci un accesso al crepuscolare regno delle Fate.

Una fantasia che lo eccitava e nello stesso tempo lo spaventava.
Se avesse trovato una porta del genere, non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di varcarla oppure no. Gli piaceva l’idea di poter fuggire dalla sua vita, verso un lontano sconosciuto futuro di un’altra

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