Eppure l’eredità dei Gaelna si faceva sentire in loro aldilà
dell’alta statura e dei capelli rossi, perché superstizioni e leggende del loro
popolo influenzavano ancora le loro credenze e i loro costumi. E proprio per
questo i due giovanissimi nipoti gradivano la loro compagnia, che tra l’altro
era l’unica che avessero oltre a quelle della nonna e della prozia, troppo
anziane per la loro giovane età.
Cresciuti nell’isolamento di una nobiltà decadente, che non
poteva approfittare della compagnia dei loro coetanei liberamente, ma nello
stesso tempo non poteva neanche far pienamente parte dell’alta società, i due
ragazzi, fratello e sorella, avevano finito con il nutrirsi dei sogni di miti e
leggende crepuscolari, straniere, provenienti da un mondo oscuro, sconosciuto e
selvaggio, dove il clima più freddo e meno soleggiato generava un umore
altrettanto freddo e oscuro.
Le leggende dei Gaelna pullulavano di mostri spaventosi ed
antropofagi nascosti nel profondo delle caverne, spesso custodi di tesori
immensi. Esse narravano del regno crepuscolare delle Fate nordiche, assai più
malevole delle Fate del Veltyan, di oscure forze demoniache che apparivano di
notte nelle foreste, portando chiunque venisse a contatto con loro alla follia
e alla morte, di Dei oscuri e feroci, che pretendevano sacrifici umani, di
spaventose crudeltà perpetrate da ferocissimi guerrieri, e di spiriti assetati
di vendetta per aver subìto estreme ingiustizie e infami tradimenti in vita.
E l’ambiente fatiscente e decaduto della villa aveva
contribuito a fomentare le fantasie di Veli e Thefren su spiriti e demoni
mostruosi.
Veli, la sorella, aveva tredici anni, mentre Thefren, il
fratello, ne aveva solo undici.
In particolar modo era la fantasia di Thefren a galoppare
con più facilità. Il ragazzo era l’unico maschio rimasto in famiglia,
circondato ed eccessivamente protetto da donne e in particolar modo da una
nonna matriarca che aveva creato attorno a lui come una sorta di ansiosa
corazza contro il mondo esterno, per la paura di vederlo andare via anche lui
un giorno verso la città. Questo aveva fatto in modo di estraniarlo in certo
modo dal mondo reale.
Thefren era particolarmente affascinato dai racconti di
Kernon, lo schiavo nordico, che gli narrava le imprese eroiche di guerrieri
alle prese con mostri spaventosi e sinistri incantesimi.
Ne era affascinato e allo stesso tempo spaventato. Da un
lato sognava di poter viaggiare nel lontano Nord, di combattere fra le orde
selvagge dei fulvi barbari oltre le montagne, lontano dalla vita noiosa di quel
paesino dimenticato da tutti. Dall’altro lato, sotto la suggestione dei
tenebrosi racconti di Kernon, guardava alle pareti scrostrate della sua villa,
ai suoi corridoi bui e alle scale scricchiolanti come a un regno di presenze
misteriose venute da lontano, o da un passato troppo remoto e misterioso.
C’erano alcune aree della villa, alcune stanze che, rimaste
sfitte da tanti anni, erano diventate anfratti abbandonati ed oscuri, dove non
si recava più nessuno, neanche a pulire la polvere, e da dove persino le
lampade perenni erano state rimosse, così che durante la notte i corridoi di
quelle stanze erano come pozzi oscuri che spaventavano Thefren e sua sorella
Veli.
E c’era una leggenda dei Gaelna che aveva impressionato la
fantasia di Thefren più di tutte le altre: quella del pozzo delle Fate, posto
nel bosco attorno a un mitico castello di cristallo, che era l’entrata al regno
segreto delle Fate.
Secondo la leggenda, dentro quel pozzo si apriva una grande
galleria, sui cui fianchi c’era una porta invisibile, che solo in certi momenti
diventava visibile, e che conduceva in un regno immerso in un eterno
crepuscolo, dove appunto vivevano gli Elfi del Crepuscolo, cioè il popolo delle
Fate. Un luogo incantato e misterioso dove il tempo scorreva lentissimo, e chi
lo visitava anche per pochi giorni, tornava nel mondo degli Uomini per scoprire
che vi erano passati dei secoli, e che tutti coloro che aveva conosciuto e
amato erano polvere da tempo immemorabile.
Thefren immaginava che quella porta invisibile esistesse
davvero, anzi che potesse essercene più di una. E che, siccome di Fate ce n’erano
anche sui monti e sulle colline vicine ad Arethyan, allora anche da quelle
parti potesse esserci un accesso al crepuscolare regno delle Fate.
Una fantasia che lo eccitava e nello stesso tempo lo
spaventava.
Se avesse trovato una porta del genere, non sapeva se avrebbe avuto il
coraggio di varcarla oppure no. Gli piaceva l’idea di poter fuggire dalla sua
vita, verso un lontano sconosciuto futuro di un’altra
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