le leggende del mio popolo ai suoi nipoti. Tra l’altro, me
ne ero dimenticato persino io della leggenda dei bambini verdi, fino a
stasera».
Velthur non aggiunse nient’altro e se ne andò, pensando che
era ora di consultare di nuovo i suoi libri.
La sera successiva, dopo il lavoro, riuscì a trovare quello
che cercava.
Nella sua biblioteca c’era un’altra opera di Perun Oyarsun
oltre a L’Ombra delle Leggende, un
altro libro che parlava di fatti misteriosi e leggende paurose, intitolato Viaggio oltre le Montagne Albine.
Perun Oyarsun era un uomo che aveva viaggiato anche in terre
straniere, soprattutto nei paesi nordici. A volte, gli spiriti più avventurosi
lo facevano, al seguito dei mercanti che si spingevano nel Mare Iperboreo per
comprare ambra, rame e stagno dai popoli barbarici in cambio di vino, lampade
perenni e altri manufatti.
E proprio in quel libro, in cui narrava delle tradizioni e
delle leggende dei popoli nordici, ritrovò la leggenda dei due bambini verdi, e
della Terra di Mirtin, che lui chiamava Quer Mitrin, perché dai nordici non era
considerato una divinità, ma un antico eroe divinizzato. Anche Oyarsun era
stato un Avennar, legato al culto dei Querna, i Santi, uomini e donne eccelsi
che in passato avevano fatto il bene del mondo.
Perciò Oyarsun aveva considerato Mirtin o Mitrin come un
Quer, un Santo. Ed era convinto che fosse un personaggio realmente esistito in
carne ed ossa in un passato remoto nei paesi del Nord.
La leggenda, comunque, era stata narrata da Oyarsun nello
stesso identico modo in cui l’aveva narrata Kernon, praticamente con le stesse
parole.
Era una stranissima coincidenza che, proprio nella casa in
cui vivevano gli unici due Gaelna del paese e dintorni, una donna che non
sapeva nulla di quella leggenda avesse visto qualcosa che la richiamava. A
sentire Kernon e a leggere il libro di Oyarsun, la matriarca Irauni Vipinas
aveva davvero visto la misteriosa Terra di Quer Mitrin o Mirtin, immersa in un
eterno crepuscolo dove tutto o quasi era colorato di verde.
Come se un incantesimo avesse evocato la porta verso un
mondo di verde crepuscolo, direttamente dalle pieghe nascoste della memoria
superstiziosa di un selvaggio uomo del misterioso nord.
CAP. XXIII: LE ORIGINI DELL’ALCHIMIA
Loraisan aveva imparato l’alfabeto dei Thyrsenna nel giro di
un mese. Velthur era impressionato, ma non sorpreso. Infatti, si aspettava che
quello fosse solo l’inizio.
«Legge già quasi meglio di me!» aveva esclamato Larsin,
quando Velthur gli aveva mostrato i progressi che stava facendo il figlio.
«Non che ci voglia molto per leggere meglio di me, lo
ammetto….. ma io non immaginavo che avrebbe imparato così in fretta!».
«E memorizza facilmente anche tutto quello che legge. Stai
sicuro, Larsin, che tuo figlio ha un futuro come sapiente del Regno Aureo.
Adesso che sa leggere gli insegnerò la grammatica, la storia, la geografia e la
letteratura del nostro paese, e penso che fra una decina di anni potremo fargli
fare l’esame di ammissione per qualche Alta Scuola in città».
«E pensi che potrà diventare un medico come te?».
«E chi lo sa? È troppo presto per poter dire a quale campo
di studio sia più adatto. Per il momento, posso dire che sembra molto
interessato sia alla storia che all’alchimia. Anzi, direi che ne è addirittura
affascinato».
«Pensi che possa avere un talento alchemico?».
«È troppo piccolo per poterlo stabilire. Il talento alchemico si può
cominciare a valutarlo bene solo nell’adolescenza, a volte addirittura con la
maggiore età. Richiede concentrazione mentale e autodisciplina, dopo un
addestramento che comincia a dieci anni. Per il momento posso solo dirti
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