venerdì 9 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 270° pagina.


confine del mondo degli Uomini. Era un’invasione delle Fate nel territorio degli Uomini e bisognava chiuderla e basta.

Perciò lui rimase là, pronto a ricevere le bastonate. Si protesse la testa e si tenne pronto a sopportare il dolore sulla schiena.

Arrivò una sola bastonata, abbastanza leggera. La vecchia era ancora forte e dritta, ma la paura era più forte della rabbia. Kernon era l’unico uomo adulto in casa, e bisognava tenerselo buono per ogni utilizzo.

«Voglio che mi accompagni a quella porta! Adesso!».

«Allora uccidimi! La morte è un destino migliore».

Irauni si bloccò. Era sorpresa.

Quell’uomo che prima gli appariva quasi timido, incapace di ribellarsi, un finto guerriero barbaro, ora mostrava un lato di sé sconosciuto.

Cominciò ad avere paura anche lei.

La vecchia matriarca era una donna scettica, una di quelle persone colte e nello stesso tempo pragmatiche, che avevano imparato ad odiare e disprezzare le credenze superstiziose del popolo.

Perché anche nel Veltyan c’erano persone incredule o anche decisamente atee, che non credevano né negli Dei né negli spiriti né nell’oltretomba. Soprattutto fra le classi elevate. Non di rado tra gli stessi sacerdoti, che erano tali per mantenere i privilegi della loro categoria, o per amore della tradizione senza veramente credere nel suo valore spirituale.

Irauni non era una sacerdotessa, anche se suo zio lo era stato. Ma non credeva né ai prodigi né alla stregoneria. Se gli Dei esistevano, erano lontani, chiusi in un altro mondo,  e non interferivano nella vita degli Uomini.

Per lei la porta misteriosa doveva essere un trucco, un perfido inganno. Punto.

«L’hai messa tu quella porta finta, vero? Tu e quell’altra selvaggia di Nemerarn, per farci credere chissà che cosa, che la casa è infestata dagli spiriti o incantata dalle Fate…. ma adesso vi faccio vedere io, a tutti e due! Non vi permetterò di prendervi gioco della mia famiglia, in casa mia!».

E avanzò spedita nel corridoio, reggendo la lampada perenne di fronte a sé e facendo rimbombare il pavimento di legno ogni volta che si appoggiava sul bastone per camminare.

Quando arrivò a un paio di metri dalla porta, si accorse che accanto ad essa c’era Rhuan, i cui occhi brillavano nel buio come due dischi di acquamarina, e la fissavano.

Appena Irauni si avvicinò alla maniglia della porta, il gatto le soffiò contro minacciosamente.

«Che hai, bestiaccia? Gli schiavi ti hanno addestrato a coprire i loro inganni?».

E minacciò anche lui con il bastone. Ma quel gatto gli faceva più paura di quanto potessero farle i suoi schiavi di sangue straniero.

Rhuan si ritrasse di fronte alla minaccia del bastone, ma continuava a soffiare e miagolare minacciosamente, come se volesse tenerla lontana dalla porta misteriosa.

Alla fine,  l’anziana matriarca divenne isterica.

«Questa è ancora casa mia! Sono io a comandare qui! L’ho ereditata da mia madre, dalle mie antenate, e continuerà ad essere mia fino al giorno in cui morirò!».

A quel punto il gatto si allontanò nel corridoio buio, ma continuando a guardarla allarmato.

Irauni afferrò la maniglia, che aveva qualcosa di strano. Era straordinariamente gelida, e quasi le bruciò la pelle con il freddo che emanava. Pareva un pezzo di ghiaccio. E soprattutto, sia la porta che la maniglia avevano una forma e un aspetto che non aveva niente a che fare con le porte e le maniglie del resto della casa.

Le maniglie delle porte dei Thyrsenna erano dei semplici anelli pendenti, sopra i quali si apriva il buco rettangolare della serratura.
Questa invece era una sorta di barra argentea che attraversava la porta da un lato all’altro, all’altezza della vita di  una persona di statura media. E anche il legno aveva qualcosa di strano. Le venature del legno avevano qualcosa di insolito, e alla luce della lampada perenne, la sua tinta era stranamente grigio-verde. Non aveva mai visto una porta del genere in vita sua. Si accorse che la

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