Questa volta sentì di nuovo il farthankar, o quello che lui credeva fosse tale, sprigionarsi di
nuovo dalla sommità della sua colonna vertebrale verso la spalla fragile, lungo
il braccio sottile verso le dita che sembravano sempre più calde, un calore a
dir poco fastidioso. Avrebbe voluto immergerle nell’acqua fredda.
Proprio in quel momento, però, si chiese se quella forza che
lui aveva suscitato in sé potesse avere anche un effetto negativo. La paura
della Presenza Invisibile lo prese anche lì, nella luce del mattino di
primavera. Certo, normalmente non temeva che là, sulla strada, potesse
comparire uno degli spiriti o dei demoni senza nome che tanto lo
ossessionavano, ma aveva paura che quella sera, al calare del buio, essi potessero
venire richiamati dalla forza alchemica che aveva cercato di risvegliare in sé.
Poi, gli tornò in mente quello che una volta gli aveva
raccontato suo fratello Erkan, di quell’essere misterioso che aveva lasciato
l’impronta di sei grandi zampe con quelli che sembravano strani zoccoli,
durante la festa del Tinsi Garpen Silal, proprio là, sulla strada che andava da
Arethyan ad Aminthaisan, quando Loraisan era ancora in fasce.
Il terrore irrazionale lo colse di nuovo. Era il terror
panico di avere invocato quell’essere che nessuno aveva visto, che forse era
invisibile, ma che comunque era solido e reale, altrimenti non avrebbe lasciato
quelle impronte.
Fuggì, con la sensazione di venire inseguito da un demone
che avrebbe potuto uscire improvvisamente dal fiume o dai boschetti di pioppi,
querce e betulle.
Quella notte però dormì tranquillamente, non gli capitò mai
di svegliarsi fissando il buio, con la tentazione di andare a scoperchiare la
lampada perenne della camera sua e dei suoi fratelli maggiori. Non fece neanche
sogni che potesse poi ricordarsi.
Ma quella stessa sera, al calare delle ombre, sulla strada
lastricata avvenne qualcosa.
Di là passò un giovane di nome Vel, che aveva cominciato a
praticare il matrimonio notturno con una ragazza di una fattoria vicina a
quella dei Ferstran, sulla stessa collina ai cui piedi vivevano. Quella sera
andava a trovare la sua nuova compagna, e mentre passava proprio di fronte
all’immagine di Sethlan, si accorse di qualcosa di strano. Ogni edicola sacra,
ogni tempietto, ogni immagine pubblica di una divinità del Veltyan veniva
illuminata notte e giorno da una lampada perenne, che permetteva a chiunque
passasse di là di pregare l’immagine sacra anche col buio, se lo voleva.
Ma quella sera la lampada perenne sembrava non funzionare
bene. La sua luce era tremolante, e a tratti si oscurava. Ma non perché avesse
l’aria di volersi spegnere, quanto piuttosto perché sembrava che qualcosa come
un’ombra nera vi passasse davanti e ne interrompesse la luce.
Incuriosito, si avvicinò per vedere, e rimase sorpreso nel
vedere delle volute di fumo nero e compatto che salivano dalla base di pietra
bianca dell’edicola verso la sua sommità.
All’inizio, credette che qualcuno avesse appiccato un fuoco,
ma poi si accorse che il fumo sembrava esalare direttamente dal terreno, e che
non mandava alcun odore di bruciato.
Invece, mandava un fetore sconosciuto, intenso e
insopportabile, che non avrebbe saputo a cosa paragonare. Sembrava un
nauseabondo miscuglio di incenso, puzza di cimici e puzza di pesce. Un qualcosa
che faceva rivoltare lo stomaco, comunque.
A quel punto Vel pensò che qualcuno avesse voluto profanare
l’immagine sacra gettandovi sopra qualche sostanza puzzolente, e si avvicinò
ulteriormente, coprendosi il naso con la mano.
Poi si accorse che c’era qualcosa che non andava in quel che
vedeva.
Il fumo, anziché disperdersi, sembrava rimanere compatto, e
anzi diventare sempre più denso e solido, mentre serpeggiava verso l’alto.
Assomigliava quasi a quelle masse piumose di polvere e pollini che si tirano
fuori con le scope da sotto i mobili, ma molto più grande, e in continuo
movimento.
Semplicemente, non capiva cosa stava vedendo.
Poi, da dietro l’edicola, a ridosso degli alberi
retrostanti, si formò una enorme figura anch’essa di quello strano fumo solido
e puzzolente.
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