martedì 20 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 280° pagina.


ripetendo all’infinito una sorta di cantilena, per ore e ore, mentre il più vecchio di loro passava e ripassava i raggi della luna sulla lama.

Con quella cantilena, essi raccoglievano la loro forza mentale sull’altare alchemico, che trasformava la lama assieme ai raggi concentrati della luna, fino a quando l’astro notturno cominciò a calare oltre le montagne, e il rito cessò.

La mattina dopo,  i Nani dissero a Larth di provare a segare una grossa roccia di ardesia con lo strumento di rame, e all’inizio il giovane guerriero non poteva credere che quella fragile sega di rame potesse dividere quella dura e scura pietra, ma scoprì presto che poteva ridurre in tanti pezzi quel grande macigno. Con quella piccola sega avrebbe potuto tagliare in breve tempo tante pietre per costruire un’intera fortezza.

I Nani gli dissero anche che se avessero ripetuto l’opera alchemica anche quella notte in cui la luna era ancora piena, la sega sarebbe divenuta ancora più potente. Quanta più forza mentale veniva concentrata su di un oggetto, più forte era la trasmutazione alchemica che vi avveniva.

La forza alchemica che veniva generata dalla concentrazione mentale la chiamavano farthankar, cioè “la forza vitale del fare”. Tutte le Sette Stirpi di Kellur possedevano il potere di produrre ed inviare sugli oggetti  il farthankar dalla loro mente attraverso le loro mani, chi più, chi meno.

I Nani, attraverso una pratica durata moltissimi millenni, possedevano un talento alchemico superiore a tutte le altre stirpi. Dopo innumerevoli generazioni avevano appreso moltissime tecniche alchemiche, e il segreto della trasmutazione di molte sostanze per ottenere tutto ciò di cui avevano bisogno.

Anche gli Uomini possedevano in forma latente il talento alchemico, o almeno alcuni di loro, ma non avevano potuto svilupparlo, perché erano una stirpe giovane, di poca esperienza e di poca conoscenza, e poi anche perché il Diluvio li aveva ricacciati nella barbarie.

Nei tempi antidiluviani, una parte del sapere alchemico era stato trasmesso loro dai dominatori del mondo, i Giganti.

Ma quando i Giganti erano quasi tutti scomparsi nei flutti, e gli Uomini erano rimasti da soli, il sapere antico era andato perso in rapido tempo. Perché le arti alchemiche non sono facili da imparare, e come aveva potuto vedere Larth, implicavano un grande impegno, una grande pazienza e una grande autodisciplina. I Mastri Alchemisti antichi erano morti senza trasmettere le loro conoscenze, nella dura lotta per la sopravvivenza nel devastato mondo postdiluviano.

Ora Larth, se voleva, aveva la possibilità di diffondere nuovamente l’alchimia fra gli Uomini e con essa i benefici enormi che portava, la possibilità di produrre in quantità sostanze e oggetti utili o preziosi per il benessere di tutti.

Larth fu entusiasta all’idea, e decise che avrebbe lasciato la carriera del soldato, per dedicarsi all’alchimia per il resto della sua vita.

Rimase con i Nani nella grotta per un anno intero, imparando da loro molti segreti, anche se erano immensamente di più quelli di cui non seppe mai nulla. Infatti ciò che Larth Turan apprese fu una minima parte dell’immenso sapere alchemico dei Nani, che si era accumulato in lunghe ere, già da prima della nascita dei primi Uomini.

Nessun Uomo sarebbe stato in grado di apprendere in una sola vita tutte le tecniche alchemiche degli Elfi delle Tenebre, anche perché erano così tante che nemmeno i tre Nani messi assieme potevano conoscerle.

Tre furono i segreti principali che i tre fratelli insegnarono a Larth: il segreto delle seghe tagliapietre, il segreto delle lampade perenni e il segreto dell’acqua rigenerante, un liquido alchemico che permetteva di curare in brevissimo tempo le ferite, gli eczemi, le infezioni e le bruciature.

Alla fine dell’anno, Larth volle ripartire per tornare a vivere con gli Uomini; ma i Nani, che ormai si erano molto affezionati al loro salvatore, non volevano essere lasciati, anche perché temevano di rimanere di nuovo indifesi di fronte all’attacco di altri briganti.

Essi non erano guerrieri, ma artigiani, e non sapevano come proteggersi dalla violenza degli Uomini.

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