volte i luoghi oscuri degli Inferi, a volte temete un salto
nel buio, nel vuoto dell’oblio eterno, e perciò questa incertezza vi rende
terrorizzati. Ma forse un giorno anche voi Uomini riuscirete a vedere ciò che
vediamo noi. Voi siete giovani, noi antiche.
Antiche come le montagne, le nostre origini si perdono nella
notte dei tempi. Noi abbiamo imparato a vivere in pace con noi stesse, dopo una
tumultuosa gioventù, proprio come adesso state facendo voi».
«Intendete dire che un giorno diventeremo come voi?».
«Non come noi. Voi siete diversi da noi e lo sarete sempre.
La vostra storia non è la nostra storia, la vostra natura non è identica alla
nostra, anche se possiamo avere delle somiglianze. Diventerete anche voi in
pace con voi stessi, ma in un modo diverso da come lo siamo diventate noi. In
un futuro molto lontano, lontanissimo, ma che avverrà. Il nostro sguardo si
stende lontano, e vede gli Uomini diventare anch’essi una stirpe antica e
sapiente, e che vedrà l’alba di altre stirpi giovani, a cui voi guarderete come
noi abbiamo guardato a voi.
La vita è una spirale, il tempo è una spirale. Tutto si
ripete, tutto ritorna, ma in forma sempre
nuova».
Velthur rimase colpito da quell’ultima frase. Era una delle
frasi più note dette da Sindinaven, ed esprimeva uno dei principi fondamentali
dell’Aventry: il processo ciclico di evoluzione di tutte le cose dell’universo
mondo. Poiché la spirale è la struttura della vita.
Era del tutto sorprendente sentirlo in bocca a una Fata,
come se questa avesse voluto dirgli che un qualche legame fra lui e loro, alla
fine esisteva. Un legame forse più profondo di quanto potesse immaginare.
CAP. XXV: IL DIARIO DELL’EREMITA PAZZO
Una volta tornato a casa sua, Velthur non mise tempo in
mezzo al raccogliere la sfida della Triplice Regina delle Fate. Rimasto solo
nel suo studio, di sera, aprì un cassetto segreto incastonato nella parete di
legno dietro la libreria, in cui aveva conservato per sette anni quel diario
maledetto che non aveva avuto più il coraggio di prendere in mano, facendo
finta che la propria paura fosse solo pigrizia mentale.
Decise che avrebbe letto i vari brani saltandoli a caso,
anziché riprendere a leggerlo dall’inizio, come aveva fatto la prima volta.
Pensò che forse avrebbe avuto più probabilità di trovare qualcosa di utile,
anziché doversi sorbire, dall’inizio alla fine, tutti i disgustosi, violenti
deliri di quel pazzo di Aralar.
Era stato quello che l’aveva scoraggiato dal continuare la
lettura. Il sentire raccontare di atti e sentimenti orribili come se si
trattasse di cose del tutto normali, il leggere di idee e progetti orribili e
folli come se si fosse trattato di propositi del tutto ragionevoli, il sentire
continuamente l’odio e il disprezzo per i propri simili che tracimavano da ogni
sua parola, erano più di quanto poteva sopportare, considerando anche che la
paura di scoprire verità orribili lo assaliva a ogni brano. Dopo alcune decine
di pagine, aveva desistito, ripromettendosi di leggere tutto il diario più in
avanti. Ma i giorni erano diventati settimane, e poi mesi, e infine anni, senza
che lui riuscisse a trovare la voglia e il coraggio di riprendere la lettura
del diario.
Se non fosse successo niente, sicuramente l’avrebbe lasciato
là, dimenticato in quel nascondiglio.
Alla fine, decise di aprire il diario proprio in mezzo, in
un punto in cui le pagine sembravano dividersi più facilmente, forse perché
Aralar aveva riletto più volte quel brano. Risaliva a dieci anni prima. Non fu
fortunato nella scelta.
XV Serpente 3086 d.
F.R.A., tiniantin.
Oggi O.M. mi ha fatto
ridere per il suo cuore tenero, e insieme mi ha irritato. Noi cinque Pentarchi
del Vertice ci siamo ritrovati per il nostro solito resoconto sulle nostre
attività, e ci siamo trovati a parlare anche su come organizzare la società del
Veltyan una volta preso il potere.
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