sabato 21 gennaio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 312° pagina.


Ma poi vidi loro, gli Altri. Coloro che non hanno nome. Seguivano anche loro le superbe figure degli Elfi della Luce, come sinistri guardiani del passato.

Vidi Quelli dalle Ali Nere, che seminano un invincibile terrore in chiunque li veda o anche solo ne avverta la presenza. Volavano sopra la città come stormi di giganteschi uccelli neri, simbolo di morte e di rovina.

Come potessero essere là, e fare parte di tutto quello splendore come se non fossero estranei, ma abitanti come gli altri, non so ancora dire.

E poi vidi altri esseri demoniaci, anche più spaventosi, e di alcuni di essi avevo già sentito parlare nei libri di stregoneria nera. Altri invece mi erano del tutto sconosciuti.

Li vedevo apparire e scomparire da strane porte triangolari che avevo già notato fra le rovine durante la mia prima visita.

Avevo già intuito la prima volta che si trattava di porte dalla funzione sacra, dato che non portavano apparentemente da nessuna parte. Erano semplicemente delle alte aperture a triangolo isoscele, dentro delle mura di blocchi di quarzo purissimo, costruite in mezzo a grandi piazze, o in fondo a viali di ampi giardini che ora erano coperti solo di sabbia.

Mi posai fluttuando accanto a una di quelle porte, e vidi improvvisamente uscire da essa una lunga fila di giganti mostruosi, con il corpo simile a quello umano, ma coperto di squame grigio argenteo, come quelle di certi pesci, e una testa con un unico grande occhio rosso e privo di pupilla, una bocca mostruosa dai denti aguzzi, e una capigliatura fatta di antenne o tentacoli che sembravano un groviglio di serpenti bianco-azzurri. Credo che fossero quegli esseri che secondo i Misteri di Cthuchulcha sono i Ciclopi, una delle progenie di Enkean, il Dio dell’Abisso, il Serpente Antico che è chiamato anche Sogar. I Ciclopi erano detti essere i più mostruosi dei suoi figli.

Comparivano dal nulla, dal vuoto stesso della porta, come se fosse spalancata su di un mondo invisibile, e in seguito scoprii che era davvero così.

Il tempo sembrava non scorrere, e la notte di luna piena pareva infinita. Volai sopra un’altra porta, che emergeva a malapena dalle sabbie, e attraverso di essa vidi uscire un essere prodigioso ed enorme: un lunghissimo serpente con una cresta di piume colorate, tinte di fiamma. E anche il suo corpo era interamente coperto di piume di tutti i colori dell’arcobaleno. Era seguito da un essere ancora più prodigioso: un cavallo nero dalle sei zampe e dagli occhi a forma di rombi splendenti di luce verde, con il manto tutto trapunto di stelle bianco-azzurre. Mentre avanzava, il suo manto da nero divenne blu zaffiro e infine viola. La sua criniera e la coda erano azzurre come le stelle che splendevano sul suo corpo, che scoprii essere semitrasparente. Infatti, le stelle non erano sul suo manto, ma sotto la sua pelle. Gli zoccoli parevano di zaffiro.

Rimasi incantato dalla bellezza di quelle due magnificenti creature che mi parvero immagini di Dei, e che forse lo erano.

Mentre guardavo quei due prodigi, mi resi conto che le immagini del passato si facevano più nette e presenti. Mentre i due esseri divini avanzavano tra le rovine, vidi lentamente la città rinascere e rifiorire, riprendere il volto che aveva avuto nel passato remoto. E vidi che non solo le rovine, ma neanche le antiche leggende, potevano minimamente rendere l’idea della grandezza e della gloria che aveva raggiunto quell’immensa metropoli nella notte dei tempi, uno splendore che era aldilà dell’immaginazione umana, perché era stata opera di mani non umane.

Le torri di Irhyel erano state enormi, adamantine, più alte delle Piramidi dei Giganti, così imponenti che ti schiacciavano sotto la loro mole, abbacinanti nel fulgore delle loro vetrate di cristallo azzurro e le loro innumerevoli placche d’argento che le rivestivano dalle fondamenta alla cima. Le sue cupole di turchese e lapislazzuli altrettanto imponenti e splendide, come gioielli incastonati nella Madre Terra. Le terrazze dei suoi giardini pensili erano state esplosioni di colori che sembravano un infrangersi ed incrociarsi di mille arcobaleni che ubriacavano la vista.

I suoi colonnati di cristallo erano interminabili attorno a piazze sterminate rivestite di mosaici di mattonelle esagonali che disegnavano misteriose figure simboliche e scene di antiche storie.
E io la contemplavo nei giorni della sua pienezza, gemma splendente in mezzo a una terra verdissima, con un ampio fiume che scendeva dalle lontane montagne ad occidente,, per sfociare

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