Ma poi vidi loro, gli
Altri. Coloro che non hanno nome. Seguivano anche loro le superbe figure degli
Elfi della Luce, come sinistri guardiani del passato.
Vidi Quelli dalle Ali
Nere, che seminano un invincibile terrore in chiunque li veda o anche solo ne
avverta la presenza. Volavano sopra la città come stormi di giganteschi uccelli
neri, simbolo di morte e di rovina.
Come potessero essere
là, e fare parte di tutto quello splendore come se non fossero estranei, ma
abitanti come gli altri, non so ancora dire.
E poi vidi altri
esseri demoniaci, anche più spaventosi, e di alcuni di essi avevo già sentito
parlare nei libri di stregoneria nera. Altri invece mi erano del tutto
sconosciuti.
Li vedevo apparire e
scomparire da strane porte triangolari che avevo già notato fra le rovine
durante la mia prima visita.
Avevo già intuito la
prima volta che si trattava di porte dalla funzione sacra, dato che non
portavano apparentemente da nessuna parte. Erano semplicemente delle alte
aperture a triangolo isoscele, dentro delle mura di blocchi di quarzo
purissimo, costruite in mezzo a grandi piazze, o in fondo a viali di ampi
giardini che ora erano coperti solo di sabbia.
Mi posai fluttuando
accanto a una di quelle porte, e vidi improvvisamente uscire da essa una lunga
fila di giganti mostruosi, con il corpo simile a quello umano, ma coperto di squame
grigio argenteo, come quelle di certi pesci, e una testa con un unico grande
occhio rosso e privo di pupilla, una bocca mostruosa dai denti aguzzi, e una
capigliatura fatta di antenne o tentacoli che sembravano un groviglio di
serpenti bianco-azzurri. Credo che fossero quegli esseri che secondo i Misteri
di Cthuchulcha sono i Ciclopi, una delle progenie di Enkean, il Dio
dell’Abisso, il Serpente Antico che è chiamato anche Sogar. I Ciclopi erano
detti essere i più mostruosi dei suoi figli.
Comparivano dal nulla,
dal vuoto stesso della porta, come se fosse spalancata su di un mondo
invisibile, e in seguito scoprii che era davvero così.
Il tempo sembrava non
scorrere, e la notte di luna piena pareva infinita. Volai sopra un’altra porta,
che emergeva a malapena dalle sabbie, e attraverso di essa vidi uscire un
essere prodigioso ed enorme: un lunghissimo serpente con una cresta di piume
colorate, tinte di fiamma. E anche il suo corpo era interamente coperto di
piume di tutti i colori dell’arcobaleno. Era seguito da un essere ancora più
prodigioso: un cavallo nero dalle sei zampe e dagli occhi a forma di rombi
splendenti di luce verde, con il manto tutto trapunto di stelle bianco-azzurre.
Mentre avanzava, il suo manto da nero divenne blu zaffiro e infine viola. La
sua criniera e la coda erano azzurre come le stelle che splendevano sul suo
corpo, che scoprii essere semitrasparente. Infatti, le stelle non erano sul suo
manto, ma sotto la sua pelle. Gli zoccoli parevano di zaffiro.
Rimasi incantato dalla
bellezza di quelle due magnificenti creature che mi parvero immagini di Dei, e
che forse lo erano.
Mentre guardavo quei
due prodigi, mi resi conto che le immagini del passato si facevano più nette e
presenti. Mentre i due esseri divini avanzavano tra le rovine, vidi lentamente
la città rinascere e rifiorire, riprendere il volto che aveva avuto nel passato
remoto. E vidi che non solo le rovine, ma neanche le antiche leggende, potevano
minimamente rendere l’idea della grandezza e della gloria che aveva raggiunto
quell’immensa metropoli nella notte dei tempi, uno splendore che era aldilà
dell’immaginazione umana, perché era stata opera di mani non umane.
Le torri di Irhyel
erano state enormi, adamantine, più alte delle Piramidi dei Giganti, così
imponenti che ti schiacciavano sotto la loro mole, abbacinanti nel fulgore
delle loro vetrate di cristallo azzurro e le loro innumerevoli placche
d’argento che le rivestivano dalle fondamenta alla cima. Le sue cupole di turchese
e lapislazzuli altrettanto imponenti e splendide, come gioielli incastonati
nella Madre Terra. Le terrazze dei suoi giardini pensili erano state esplosioni
di colori che sembravano un infrangersi ed incrociarsi di mille arcobaleni che
ubriacavano la vista.
I suoi colonnati di
cristallo erano interminabili attorno a piazze sterminate rivestite di mosaici
di mattonelle esagonali che disegnavano misteriose figure simboliche e scene di
antiche storie.
E io la contemplavo nei
giorni della sua pienezza, gemma splendente in mezzo a una terra verdissima,
con un ampio fiume che scendeva dalle lontane montagne ad occidente,, per
sfociare
Nessun commento:
Posta un commento