«Le antiche leggende
degli Uomni di Edan Synair raccontano che i Geni si ribellarono al loro Dio
Supremo e furono sterminati con una guerra celeste che distrusse la loro grande
capitale e tutte le altre loro città sparse nel mondo, e costrinse i superstiti
a rifugiarsi in luoghi reconditi ed isolati».
«Quale fu la causa di
tale ribelliione?».
«Non ne sono sicuro.
Qualcuno mi ha raccontato che essi si rivoltarono contro il fatto che il loro
Dio Supremo aveva creato gli Uomini, che loro consideravano esseri di molto
inferiori a loro. Altri dicono che volevano conquistare il cielo e sconvolgere
l’ordine del mondo».
«Allora, Aralar Alpan,
della città di Prini nel regno del Veltyan, della sconosciuta stirpe degli
Uomini, non sembra che i Geni abbiano avuto molta simpatia per voi. Io li
conosco da molto tempo, e vedo bene qual è la strada che hanno intrapreso. Una
strada pericolosa che tu, dal futuro, mi confermi essere tale. Essi sono
superbi e temerari e all’occorrenza anche spietati e crudeli. Su di loro pesa
l’ombra della rovina. E anche su tutti coloro che gli si avvicinano.
Tu, che vuoi indagare
nei loro segreti, rischi di essere portato sulla stessa strada. Se il tuo
spirito ha il potere di viaggiare nel tempo, usalo per fini migliori. Non
avvicinarti a segreti che è meglio che rimangano sepolti.
Io non so cosa
succederà in futuro, perché esso ha troppi volti per me. Potrei continuare a
chiederti del tuo mondo dell’avvenire, ma so che sarebbe solo uno dei tanti
mondi a venire che si profilano di fronte a me, e in fin dei conti non ha molta
importanza, per chi vive da ere immemorabili e continuerà a vivere ancora,
forse anche quando tu sarai morto e dimenticato e il tuo futuro sarà un altro
remotissimo passato.
Quindi ti dico di
nuovo: torna indietro! Non avventurarti in luoghi che non comprenderesti, non
intraprendere imprese troppo grandi per te. Ritorna al tuo presente e se hai
sete di conoscenza, cerca di capire meglio il mondo in cui vivi, prima di voler
conoscere i reami altrui».
Le sue parole restano
scolpite in me. Non so come sia possibile, ma ricordo ogni singola parola che
uscì dal suo becco proprio come se la sentissi in questo momento.
Il ricordo della
Fenice è inciso profondamente nella mia memoria, e ha cambiato la mia anima.
Un’improvvisa angoscia
sostituì l’esaltazione mista a terrore che prima mi aveva dominato, fin da
quando mi ero allontanato dal mio corpo fisico. Avevo compiuto un viaggio
incredibile, bellissimo e terrificante, e ora scoprivo di non essere il
benvenuto proprio là dove volevo arrivare.
Ero angosciato di non
poter raggiungere lo scopo tanto agognato, ma non temevo per la mia vita.
Nessuno poteva farmi del male. Il mio corpo giaceva al sicuro, addormentato
sull’erba attorno al falò del belk, e
il mio spirito non poteva venire ferito. Vedevo il passato, e il passato ora mi
vedeva, ma non mi poteva raggiungere. Io non ero veramente là, quell’essere
divino e prodigioso mi parlava attraverso migliaia di secoli come se urlassimo
da due sponde di un fiume invalicabile, e il vento portasse le parole dell’uno
all’altro.
Non dovevo temere
nulla per me, ma colei che se ne stava sull’altra sponda del fiume poteva
alzare un velo sul suo orizzonte, affinché non ne potessi vedere i particolari.
«Io non me ne andrò,
Fenice! Rimarrò qua e guarderò queste porte spalancate sull’ignoto, per
scoprirne i segreti. Come me lo impedirai, se io non sono veramente qui?».
«Sì, è vero… ci sei eppure
non ci sei…. Anche io però qui ci sono eppure non ci sono…tu stai parlando di
ciò di cui non conosci, perché in realtà non sai dove ti trovi veramente.».
La Fenice non disse
più niente, e inarcò la sua bella testa di aquila verso l’alto, torcendo
indietro il suo collo lungo e sinuoso, ma possente.
Lanciò un grido, un
grido acutissimo, che sembrava una via di mezzo fra l’urlo di un uccello e
quello di una donna. Un grido che mi fece raggelare il sangue, e che non udii
solo io. Perché la gente della piazza si voltò spaventata verso la Fenice, che
prima aveva salutato come si saluta un personaggio elevato e importante.
Era un grido che era
stato emesso in un passato remotissimo, ma che era diretto a me, attraverso
l’abisso dei millenni.
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