martedì 24 gennaio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 315° pagina.


«Le antiche leggende degli Uomni di Edan Synair raccontano che i Geni si ribellarono al loro Dio Supremo e furono sterminati con una guerra celeste che distrusse la loro grande capitale e tutte le altre loro città sparse nel mondo, e costrinse i superstiti a rifugiarsi in luoghi reconditi ed isolati».

«Quale fu la causa di tale ribelliione?».

«Non ne sono sicuro. Qualcuno mi ha raccontato che essi si rivoltarono contro il fatto che il loro Dio Supremo aveva creato gli Uomini, che loro consideravano esseri di molto inferiori a loro. Altri dicono che volevano conquistare il cielo e sconvolgere l’ordine del mondo».

«Allora, Aralar Alpan, della città di Prini nel regno del Veltyan, della sconosciuta stirpe degli Uomini, non sembra che i Geni abbiano avuto molta simpatia per voi. Io li conosco da molto tempo, e vedo bene qual è la strada che hanno intrapreso. Una strada pericolosa che tu, dal futuro, mi confermi essere tale. Essi sono superbi e temerari e all’occorrenza anche spietati e crudeli. Su di loro pesa l’ombra della rovina. E anche su tutti coloro che gli si avvicinano.

Tu, che vuoi indagare nei loro segreti, rischi di essere portato sulla stessa strada. Se il tuo spirito ha il potere di viaggiare nel tempo, usalo per fini migliori. Non avvicinarti a segreti che è meglio che rimangano sepolti.

Io non so cosa succederà in futuro, perché esso ha troppi volti per me. Potrei continuare a chiederti del tuo mondo dell’avvenire, ma so che sarebbe solo uno dei tanti mondi a venire che si profilano di fronte a me, e in fin dei conti non ha molta importanza, per chi vive da ere immemorabili e continuerà a vivere ancora, forse anche quando tu sarai morto e dimenticato e il tuo futuro sarà un altro remotissimo passato.

Quindi ti dico di nuovo: torna indietro! Non avventurarti in luoghi che non comprenderesti, non intraprendere imprese troppo grandi per te. Ritorna al tuo presente e se hai sete di conoscenza, cerca di capire meglio il mondo in cui vivi, prima di voler conoscere i reami altrui».

Le sue parole restano scolpite in me. Non so come sia possibile, ma ricordo ogni singola parola che uscì dal suo becco proprio come se la sentissi in questo momento.

Il ricordo della Fenice è inciso profondamente nella mia memoria, e ha cambiato la mia anima.

Un’improvvisa angoscia sostituì l’esaltazione mista a terrore che prima mi aveva dominato, fin da quando mi ero allontanato dal mio corpo fisico. Avevo compiuto un viaggio incredibile, bellissimo e terrificante, e ora scoprivo di non essere il benvenuto proprio là dove volevo arrivare.

Ero angosciato di non poter raggiungere lo scopo tanto agognato, ma non temevo per la mia vita. Nessuno poteva farmi del male. Il mio corpo giaceva al sicuro, addormentato sull’erba attorno al falò del belk, e il mio spirito non poteva venire ferito. Vedevo il passato, e il passato ora mi vedeva, ma non mi poteva raggiungere. Io non ero veramente là, quell’essere divino e prodigioso mi parlava attraverso migliaia di secoli come se urlassimo da due sponde di un fiume invalicabile, e il vento portasse le parole dell’uno all’altro.

Non dovevo temere nulla per me, ma colei che se ne stava sull’altra sponda del fiume poteva alzare un velo sul suo orizzonte, affinché non ne potessi vedere i particolari.

«Io non me ne andrò, Fenice! Rimarrò qua e guarderò queste porte spalancate sull’ignoto, per scoprirne i segreti. Come me lo impedirai, se io non sono veramente qui?».

«Sì, è vero… ci sei eppure non ci sei…. Anche io però qui ci sono eppure non ci sono…tu stai parlando di ciò di cui non conosci, perché in realtà non sai dove ti trovi veramente.».

La Fenice non disse più niente, e inarcò la sua bella testa di aquila verso l’alto, torcendo indietro il suo collo lungo e sinuoso, ma possente.

Lanciò un grido, un grido acutissimo, che sembrava una via di mezzo fra l’urlo di un uccello e quello di una donna. Un grido che mi fece raggelare il sangue, e che non udii solo io. Perché la gente della piazza si voltò spaventata verso la Fenice, che prima aveva salutato come si saluta un personaggio elevato e importante.

Era un grido che era stato emesso in un passato remotissimo, ma che era diretto a me, attraverso l’abisso dei millenni.

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