tracimavano dai
balconi e dai ponti splendenti, e riempivano l’aria di mille profumi, mentre la
musica si propagava dalle ampie piazze cristalline.
Irhyel, sulla cui
gloria perduta piange la stessa Madre Terra, di cui andava orgogliosa più di
ogni altra sua bellezza.
Irhyel, che era sorta
superba e magnificente nei tempi remotissimi di ere interminabili, quando il
Deserto Rosso era stato una pianura fiorente e piena di vita, e le rive del
mare ne avevano sfiorato i palazzi e le vie piene di gente felice ed altera.
Irhyel, il sogno di
ogni sognatore, poiché ogni sognatore vorrebbe poterla rivedere come era un
tempo. E lo sognavo anche io, ma il mio sogno era ancora più ambizioso. Perché
io sogno di ricostruire una nuova Irhyel nella gloria che fu, e che sarà ancora
un giorno.
E volando sopra il
deserto, l’ho vista avvicinarsi all’orizzonte, come uno scheletro abbandonato
sulle sabbie così come mi è apparsa tanti anni fa.
Eppure, nello stesso
tempo, mi è apparsa diversa da quella prima volta che, condottovi là dai nomadi
del deserto, l’ho vista dall’alto di una collina, campo sterminato di rovine
incolori sepolte dalla sabbia rosso-rosata. Ora vedevo il suo lato invisibile,
il lato che non avevo potuto contemplare, ma solo udire, durante la mia prima
visita.
E questa volta, il
reverente timore che avevo provato con gli occhi del corpo fisico, divenne
subito terror panico, paura di ciò che stavo scoprendo.
La prima volta avevo
vagato fra le rovine nella luce del giorno, e mi ero spinto con un coraggio che
rasentava l’incoscienza nelle sterminate catacombe nascoste sotto la città
proibita. Credo che in quel giorno la passione per la scoperta mi ha reso
inconsapevole dei rischi che correvo ad avventurarmi nel buio millenario delle
gallerie e delle sale sotterranee di quel luogo dimenticato dagli Dei.
La prima volta, io
avevo solo avvertito le Presenze, che per me erano state invisibili, ora invece
non erano più tali.
Ora io li vedevo.
Coloro che avevo solo percepito nel buio, nei sussurri del vento intriso di
sabbia rossa, nei bisbiglii che mi era parso di ascoltare nelle nere gallerie,
nei misteriosi bagliori verdazzurri che avevo scorto in fondo a profonde
gallerie dove mi era sembrato di vedersi agitare delle misteriose ombre nere.
Ora li vedevo, sotto
la luce della luna piena, vagare tra le rovine, come mostruosi fantasmi
evanescenti, eppure non certo nebulosi. Li vedevo molto chiaramente nei loro
particolari.
Se fossero spiriti non
so dirlo, se appartenessero al presente o solo a un lontano passato nemmeno, ma
erano esseri reali. Spaventosamente reali, ed alieni a tutto il nostro mondo.
Ed erano schiere innumerevoli, inconcepibilmente numerosi in quelle sterminate
rovine.
Inoltre, erano di
molte varietà e forme. C’erano gli antichi Elfi della Luce, i Geni, che prima
non avevo mai avuto il privilegio di poter vedere se non in qualche antico
affresco o miniatura del lontano Oriente, perché forse nel nostro mondo non
esistono più. Alti, imponenti, possenti e superbi, sia maschi che femmine,
dalle chiome di fiamma e dagli occhi lucenti come monete d’oro e smeraldo,
dalle vesti ingioiellate e diademi a forma di serpenti d’argento sul capo, ben
diversi dai loro umili cugini di oggi: i bassi e tozzi Elfi delle Tenebre, cioè
i Nani e le fragili Fate, gli Elfi del Crepuscolo.
Credo di averli visti
com’erano quando la città era viva e vitale, avanzare alteri e primevi in
quelli che erano stati i loro palazzi.
Discendendo in volo
sulla città, mi avvicinavo a loro, li seguivo nel loro camminare, o nel loro
levitare sopra le strade e i grandi edifici, nel tentativo di poter parlare con
loro, anche se mi davano una soggezione e un timore che non credo sarei mai
riuscito a superare.
Ma loro nemmeno si
accorsero di me. Non sapevano che io fossi là. Un abisso temporale ci separava,
di migliaia e migliaia di secoli. Loro vivevano nell’Era Mediana, io nel
presente. Lo spazio non esisteva più per me, ma la barriera del tempo sembrava
ancora, almeno in parte, invalicabile. Potevo vedere il passato, ma non parlare
con esso, tantomeno interferirvi.
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