Velthur pensò allora cosa potesse essere vero e reale, in un
mondo abitato dalle Fate, o meglio dove gli Uomini dovevano convivere con gli
Elfi del Crepuscolo che, fedeli al loro nome, potevano costringere tutti quelli
della sua stirpe a vivere in un territorio in penombra, dove vero e falso si
confondevano.
Quanti ricordi umani erano stati cancellati, nel corso dei
molti secoli di storia del Veltyan? Quanti eventi erano stati cancellati dalla
memoria collettiva? Che garanzia avevano lui e tutti i suoi simili di non
essere in mano a un gigantesco inganno? Come poteva essere sicuro che anche
parte della sua memoria non fosse stata cancellata, senza che lui se ne
rendesse conto?
Decisamente, più conosceva il popolo delle Fate e meno gli
piaceva.
Dopo aver lasciato i pellegrini distesi nel bosco, ripresero
la strada lastricata e proseguirono verso Tulvanth e le Colline di Leukun.
Quando arrivarono alla Città delle Fate, era ormai
l’imbrunire. Ma non aveva nessuna importanza, perché per parlare con le Tre
Madri del Fato non c’erano orari prestabiliti. Il destino, si sa, non ha orari.
Alla fioca luce dei nugoli di lucciole che rischiaravano la
Reggia di Pietra volando sopra il prato e delle torce di legno e resina che
emanavano fiamme di uno strano colore fra il ciano e lo smeraldo, Velthur parlò
con la Triplice Regina delle Fate per la seconda volta nella sua vita. Gli
sembrava ieri, quel mattino di sette anni prima.
Una falce di luna rossa tramontava sulle colline oltre
Tulvanth. Un simbolo di morte per alcune antiche simbologie. Rappresentava le
corna del Grande Toro dei Cieli, Silen, imbrattate del sangue delle sue vittime
cadute in guerra, poiché nella remota Era dei Giganti il Dio della Luna era
stato chiamato anche Dio degli Eserciti, signore della guerra e del massacro.
Come la volta scorsa, il medico lasciò che fossero le Tre
Madri a parlare per prime.
Fu la Regina Bianca a cominciare.
«Non ti abbiamo mandato a chiamare solo perché sapevamo che
saresti venuto in ogni caso, ma ora sappi che sono più le cose che dobbiamo
chiederti, di quelle che abbiamo da dirti.
Vogliamo sapere cosa è esattamente successo nei mesi scorsi
nel tuo villaggio, poiché noi, tu lo sai bene, non possiamo vedere ciò che
proviene dall’Altrove. E molte cose sembrano essere entrate nel tuo paese
provenendo da luoghi ignoti».
«Però penso che avrete visto il giovane pellegrino senza
nome che si è tolto la vita di fronte all’immagine di Sethlan, e avrete visto
anche la ferita in testa alla matriarca Irauni Vipinas. Né l’uno né l’altra
erano creature dell’Altrove. Sarebbe stata una gradita gentilezza da parte
vostra avvertirmi delle conseguenze di quello che sarebbe successo, così forse
io avrei potuto impedire un suicidio assurdo e un’aggressione che ha quasi
ucciso una povera vecchia».
Velthur non poté impedirsi di dare un tono sarcastico alle
sue parole. In una reggia umana, per la sua arroganza sarebbe stato sbattuto
subito in galera, o peggio, , ma per fortuna si trovava in una reggia fatata,
dove non essendo possibile il nascondimento dei sentimenti, non poteva esserci
neanche l’accusa di arroganza nei gesti e nelle parole, dato che persino un
solo pensiero arrogante non poteva essere nascosto e dissimulato come fra gli
Uomini.
«Non potevamo essere certe di quale conseguenza avrebbe avuto il tuo
intervento, proprio perché in ogni caso ci sono di mezzo le forze dell’Altrove.
Forse, quello che rischiava di rimanere ucciso o ferito, saresti stato tu, o
qualcun altro ancora. Le nostre profezie diventano inutili o troppo rischiose,
quando c’è di mezzo l’Altrove».
Queste hanno sempre la scusa pronta, si disse Velthur. Sono
troppo furbe per me.
Mentre pensava quelle parole, gli sembrò di cogliere un vago
sorriso sulle bocche delle Tre Madri.
Velthur comunque soddisfò con piacere le loro domande.
Raccontò tutti gli strani eventi accaduti dalla fine dell’inverno. Raccontò delle
visioni di Arnith, di quelle della giovane Alasni, della porta che dava su di
un regno ignoto, misteriosamente apparsa nella villa dei Vipinas, e parlò
persino della conversazione avuta con lo schiavo Kernon riguardo le leggende
del suo lontano paese, con la storia dei due bambini verdi e del loro
misterioso paese chiamato Terra di Mirtin.
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