lunedì 2 gennaio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 293° pagina.


Velthur pensò allora cosa potesse essere vero e reale, in un mondo abitato dalle Fate, o meglio dove gli Uomini dovevano convivere con gli Elfi del Crepuscolo che, fedeli al loro nome, potevano costringere tutti quelli della sua stirpe a vivere in un territorio in penombra, dove vero e falso si confondevano.

Quanti ricordi umani erano stati cancellati, nel corso dei molti secoli di storia del Veltyan? Quanti eventi erano stati cancellati dalla memoria collettiva? Che garanzia avevano lui e tutti i suoi simili di non essere in mano a un gigantesco inganno? Come poteva essere sicuro che anche parte della sua memoria non fosse stata cancellata, senza che lui se ne rendesse conto?

Decisamente, più conosceva il popolo delle Fate e meno gli piaceva.

Dopo aver lasciato i pellegrini distesi nel bosco, ripresero la strada lastricata e proseguirono verso Tulvanth e le Colline di Leukun. 

Quando arrivarono alla Città delle Fate, era ormai l’imbrunire. Ma non aveva nessuna importanza, perché per parlare con le Tre Madri del Fato non c’erano orari prestabiliti. Il destino, si sa, non ha orari.

Alla fioca luce dei nugoli di lucciole che rischiaravano la Reggia di Pietra volando sopra il prato e delle torce di legno e resina che emanavano fiamme di uno strano colore fra il ciano e lo smeraldo, Velthur parlò con la Triplice Regina delle Fate per la seconda volta nella sua vita. Gli sembrava ieri, quel mattino di sette anni prima.

Una falce di luna rossa tramontava sulle colline oltre Tulvanth. Un simbolo di morte per alcune antiche simbologie. Rappresentava le corna del Grande Toro dei Cieli, Silen, imbrattate del sangue delle sue vittime cadute in guerra, poiché nella remota Era dei Giganti il Dio della Luna era stato chiamato anche Dio degli Eserciti, signore della guerra e del massacro.

Come la volta scorsa, il medico lasciò che fossero le Tre Madri a parlare per prime.

Fu la Regina Bianca a cominciare.

«Non ti abbiamo mandato a chiamare solo perché sapevamo che saresti venuto in ogni caso, ma ora sappi che sono più le cose che dobbiamo chiederti, di quelle che abbiamo da dirti.

Vogliamo sapere cosa è esattamente successo nei mesi scorsi nel tuo villaggio, poiché noi, tu lo sai bene, non possiamo vedere ciò che proviene dall’Altrove. E molte cose sembrano essere entrate nel tuo paese provenendo da luoghi ignoti».

«Però penso che avrete visto il giovane pellegrino senza nome che si è tolto la vita di fronte all’immagine di Sethlan, e avrete visto anche la ferita in testa alla matriarca Irauni Vipinas. Né l’uno né l’altra erano creature dell’Altrove. Sarebbe stata una gradita gentilezza da parte vostra avvertirmi delle conseguenze di quello che sarebbe successo, così forse io avrei potuto impedire un suicidio assurdo e un’aggressione che ha quasi ucciso una povera vecchia».

Velthur non poté impedirsi di dare un tono sarcastico alle sue parole. In una reggia umana, per la sua arroganza sarebbe stato sbattuto subito in galera, o peggio, , ma per fortuna si trovava in una reggia fatata, dove non essendo possibile il nascondimento dei sentimenti, non poteva esserci neanche l’accusa di arroganza nei gesti e nelle parole, dato che persino un solo pensiero arrogante non poteva essere nascosto e dissimulato come fra gli Uomini.

«Non potevamo essere certe di  quale conseguenza avrebbe avuto il tuo intervento, proprio perché in ogni caso ci sono di mezzo le forze dell’Altrove. Forse, quello che rischiava di rimanere ucciso o ferito, saresti stato tu, o qualcun altro ancora. Le nostre profezie diventano inutili o troppo rischiose, quando c’è di mezzo l’Altrove».

Queste hanno sempre la scusa pronta, si disse Velthur. Sono troppo furbe per me.

Mentre pensava quelle parole, gli sembrò di cogliere un vago sorriso sulle bocche delle Tre Madri.

Velthur comunque soddisfò con piacere le loro domande. Raccontò tutti gli strani eventi accaduti dalla fine dell’inverno. Raccontò delle visioni di Arnith, di quelle della giovane Alasni, della porta che dava su di un regno ignoto, misteriosamente apparsa nella villa dei Vipinas, e parlò persino della conversazione avuta con lo schiavo Kernon riguardo le leggende del suo lontano paese, con la storia dei due bambini verdi e del loro misterioso paese chiamato Terra di Mirtin.

Nessun commento:

Posta un commento