come più leggere. Non
saprei dire esattamente come, ma mi sembrava come se vedessi e sentissi i miei
pensieri dall’esterno, come se li guardassi dentro un riflesso sull’acqua,
dentro uno specchio.
Mi diressi deciso
verso sud-est, verso il mare. Il mio senso dell’orientamento, già così allenato
quando facevo il marinaio, si era acuito. Mi sentivo consapevole del mondo intero.
Sapevo dove dovevo dirigermi per raggiungere quell’antica terra di incanto e di
misteri che mi aveva tanto affascinato, e che già avevo esplorato per
conoscerne i terrificanti segreti antidiluviani.
La distesa del mare
meridionale sfrecciò sotto di me a una velocità spaventosa. Non sentivo niente,
neanche il vento sul mio corpo umbratile. Attraversavo il mondo materiale come
si attraversa un miraggio, perché le distanze e il mondo stesso erano diventati
nebbia e miraggi, per il mio libero spirito.
E poi la vidi, la
grande isola di Edan Synair, la più grande isola del mondo, quasi come un
continente, separata da noi dal Mare Tritonico, con le sue coste dalle aride
montagne rosse, muraglie di confine del grande Deserto Rosso che si stende
aldilà.
Sorvolai la Terra di
Khaam e le sue rovine, e passai sopra le sue grandi Piramidi, edificate dagli
antichi Giganti antidiluviani, almeno settemila anni fa. Vederle dall’alto fu
un’emozione ancora più grande di quando per la prima volta mi trovai a
sollevarmi in volo. Ma l’emozione più grande la provai dopo. Dall’alto, si
poteva vedere il disegno geometrico che le loro posizioni componevano
nell’arida valle in cui erano state costruite, quando ancora era verde e
fertile. La costellazione del Vegliante, detto anche il Gigante Cacciatore,
risultava evidente sotto di me, sotto la luce della luna. Le stelle erano state
scolpite nelle pietre della Madre Terra da un popolo che aveva voluto sfidare
il tempo e gli Dei, e che in certo modo, anche se era scomparso da tempo, era
riuscito nel suo intento.
I Giganti avevano
preso l’immagine della costellazione che li rappresentava per trasporla in modo
colossale su Kellur, per indicare che erano simili agli Dei, e che per loro il
Padre Cielo non era meno accessibile della Madre Terra.
A sud delle Piramidi,
si stendeva il Grande Lago Salato, privo di vita come le terre che lo
circondano, incrostate di sale e di sabbia rossa, e più in là ancora, oltre una
catena di basse montagne vulcaniche, si stendeva il Deserto Rosso, che occupava
la maggior parte del territorio dell’isola, costellato qua e là da alcune oasi,
dove si potevano vedere i fuochi degli accampamenti delle tribù nomadi che
vivevano là dai tempi in cui Manowa era approdato sull’isola, sfuggendo alle
acque del Diluvio.
E più in là ancora, al
centro del Deserto Rosso, in un luogo dove non c’erano né oasi e nemmeno
passavano le carovane dei nomadi, sia per la troppa lontananza da ogni luogo
abitato, sia per paura degli spiriti che popolavano quel luogo, si ergevano le rovine
della città maledetta di Irhyel, che erano già vecchie ancora prima del
Diluvio, e ancora prima della nascita del dominio dei Giganti, e ancora prima
che nascessero gli Uomini, e persino i Sileni.
Le rovine più antiche
del mondo, che il Diluvio non aveva potuto seppellire sotto le sue ondate,
poiché la leggenda diceva che persino le acque del Diluvio le avevano evitate,
dicevano le vecchie che raccontavano le antiche leggende nelle tende dei nomadi
davanti ai fuochi della sera, che dicevano anche che, se tutti temono la morte,
la morte teme le rovine di Irhyel, poiché di fronte ad esse anche la morte può
morire.
Irhyel, la città più
grande e magnificente che sia mai sorta sulla Madre Terra dalla notte dei tempi,
capitale dei Geni, gli Elfi della Luce, il cui potere e la cui saggezza furono
più grandi ancora di quelli dei Giganti.
Irhyel, dalle mille
torri d’argento e cristallo, dalle colossali statue di giada e dai balconi di
smeraldo, dalle terrazze con lastre a scacchi di alabastro e ametista, dai grandi
giardini pensili ornati di statue d’oro e di platino, e dalle fontane di
acquamarina, costellate di statue scolpite nello zaffiro.
Irhyel dalle vetrate di
rubino e ambra, dalle cupole di turchese e lapislazzuli, dalle colonne di
cristallo luminoso verde, azzurro, violetto e rosa, dalle mille bolle d’oro
trasparente che illuminavano la città di notte, sospese nell’aria. Irhyel,
dalle cascate di fiori di ogni tipo che
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