martedì 17 gennaio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 308° pagina


l’esaltazione della danza mi invadevano e cominciavo a perdere coscienza di dove mi trovavo. I suoni, la luce del fuoco, si alteravano sempre più e persino il tempo sembrava scorrere in modo diverso.

La paura, l’ansia, il dolore di vivere si allontanavano sempre più, si sollevavano dalla mia anima e la lasciavano libera da ogni pena. Mi sentivo felice.

Non ricordo il momento esatto in cui sono caduto per terra, né se davvero l’ho fatto, perché semplicemente non ho sentito più il mio corpo e mi è sembrato di librarmi in volo.

Ho sentito di spiccare il volo e planare nell’aria come un uccello, a una velocità straordinaria. La musica e il falò mi sono sembrati allontanarsi nel buio, e io mi sono trovato a volare nel silenzio della notte sopra la terra, più veloce di qualsiasi uccello.

Vedevo il mondo sotto di me scorrere a grande velocità, come non l’avevo mai visto prima. Guardavo i boschi, il fiume, le fattorie e le luci della città lontana all’orizzonte. E sopra di me la luna e le stelle, che mi apparivano fulgenti come non mai, di una luce intensa e vivida come non l’avevo mai vista. La luce della luna non nascondeva più la luce delle stelle. Brillavano assieme e illuminavano il cielo in modo che mi appariva innaturale. Perciò anche il cielo mi appariva di un colore più chiaro, come di uno strano viola anch’esso straordinariamente intenso, che si rifletteva sui boschi e i campi sottostanti.

All’inizio, mi sentii come trascinato in una corrente, come se il vento mi trasportasse alla deriva, e io non potessi fare niente per cambiare la mia direzione.

Dopo, li vidi. Gli altri. Quelli che volavano assieme a me, i miei compagni di danza, che si erano librati come me, e venivano trascinati anch’essi dal vento, ombre bianche e nude, anch’essi spiriti della notte vaganti in preda alle loro visioni, che si aggiungevano ancora ad altre ombre volanti.

Mi mancò il respiro per un attimo, nel vedere chi conduceva la gigantesca scia di creature della notte di cui ormai facevo parte.

Alla testa di questa innumerevole schiera di figure nude e volteggianti come un turbine serpentino di fiocchi di neve nella tormenta, cavalcava una donna splendente di luce bianca, anch’essa nuda, a cavallo di un caprone nero dalle corna d’oro, con il nero manto trapunto di stelle, in folle corsa nel cielo, e gli occhi bianchi che brillavano anch’essi come enormi stelle.

 La donna aveva una testa con tre volti: uno bianco, uno nero e uno rosso, e la sua chioma pareva una coda di verdi fili d’erba che ondeggiavano come alghe nella corrente. I tre volti avevano anch’essi occhi brillanti, che splendevano dome sei stelle di smeraldo. Lei e il caprone nero formavano una combinazione spaventosa, terrificante e allo stesso tempo bellissima. Veramente divina. Per la prima volta vedevo in vita mia almeno due degli Dei. Un privilegio che non è normalmente concesso neanche ai più alti vertici della teocrazia del Veltyan, e che era a disposizione dei più umili e dei più poveri, a patto che divenissero servi del belk.

Cioè, li vedevo come si manifestavano agli occhi delle genti di Kellur. Sapevo, da quello che era stato rivelato nei Misteri del belk, che quello non era il loro vero aspetto, o meglio il loro aspetto pieno. Quella era una delle loro innumerevoli manifestazioni, perché la divinità non può avere un solo volto e un solo nome, né un solo corpo.

Si sa, gli Dei si manifestano in molti modi, ogni divinità ha diverse immagini con cui viene rappresentata, ma gli Uomini in genere non sanno perché. Pensano semplicemente che sia prerogativa degli Dei assumere qualsiasi forma, oppure pensano che le immagini dei Signori e delle Signore siano i simboli di qualcosa che trascende la nostra immaginazione e la nostra comprensione.

E senz’altro questo è vero, ma è solo una parte della verità, perché gli Uomini in genere non vedono più in là di ciò che gli appare in superficie. Io invece adesso vedevo, vedevo.

Vedevo ciò che stava aldilà delle immagini che ci facciamo degli Dei, o meglio delle immagini che crediamo di farci. Vedevo la tremenda, immensa realtà che si nasconde dietro le nostre preghiere.
Ianarthi Trimusiakh e Fuflun Baker Belz erano di fronte a me, nella loro gloria, o meglio in una parte di essa, e adempivano al loro compito: guidare le anime dei loro seguaci nella notte, attraverso le frontiere dell’Ignoto.

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